L’Inter è una fisarmonica, una società che non si ferma mai, cambia presidenti e dirigenti e non riesce dunque a capirsi, una squadra che cambia ossessivamente giocatori e allenatori e che ad ogni cambio si crede forte. Poi perde, si scopre più fragile e si sottopone ad insensati massacri che rendono l’Inter più debole di quello che in realtà è. La squadra che ha perso a Roma è un esempio di questa instabilità, la quale genera da anni vertiginosi cambi di scenario e cacce alle streghe. Oltre a questo accade però che l’ennesima nuova Inter di inizio stagione dia la netta sensazione di essere più forte di come mostra e infinitamente friabile, come è logico che sia.
Aver rilanciato la Roma in campionato con una scelta tattica comprensibile nella sua coerenza ma scellerata nella sua esecuzione, è stato un peccato se possibile ancora più grave della batosta presa a Praga. Colpa evidente di De Boer e di chi non lo ha consigliato. Una partita condizionata anche dalle cattive condizioni di Joao Mario, dagli incredibili errori sottoporta, l’esagerato numero di palle perse, su tutti Candreva, e le difficoltà (uso un eufemismo) della difesa nerazzurra. E’ stata la serata di Handanovic, in stato di grazia e capace di salvare con interventi illegali almeno sei volte la porta dell’Inter, così come Banega, vero uomo squadra, premiato da un bellissimo gol in piena area della Roma.
Il fatto è che Murillo è diventato solo un giocatore fisico, non molto diverso da Juan Jesus, gli esterni sono un problema serio e la prestazione di Ansaldi ha confermato che la mamma dei terzini non è sempre incinta.
Fatico a capire alcuni errori di Candreva ma ha prodotto comunque molto correndo altrettanto. Perisic bravo ma poco lucido nel momento decisivo.
Un allenatore italiano che conosceva bene il suo avversario avrebbe affrontato i giallorossi aspettandoli e colpendoli in contropiede, considerando le caratteristiche di Perotti, Salah e quel fattore campo che condiziona inevitabilmente le partite.
Un'Inter più consapevole avrebbe dunque potuto eliminare dalla strada un avversario importante e sfruttare l’inerzia per il resto del campionato. E’ accaduto il contrario e ora si trova con mezzo piede fuori dall’Europa league, superata e raggiunta da parecchie squadre in serie A. De Boer va avanti per la sua strada e gioca il suo calcio, senza che nessuno lo consigli diversamente. Può andargli bene ma anche male, specie se la squadra è ancora un'ipotesi e ha bisogno di tanto tempo per crescere.
L’Inter con la Roma poteva perdere 5-3, vincere 2-4 o pareggiare 3-3 ma la somma del proprio valore viene da più lontano. A partire dalla scelta di puntare su un allenatore come l’olandese, il quale aveva bisogno di molto più tempo per capire dove si trovava e insegnare quello che vuole dalla squadra. Oggi il tecnico va difeso, confortato, aiutato ma non accadrà. Il suo calcio verrà ridimensionato, i soliti noti diranno che non è buono nemmeno lui e che va cacciato (avanti un altro, Inter: frazione di Zamparini). Sogno di vedere un tecnico sulla panchina dell’Inter per almeno tre anni, un'ossatura fatta da giocatori di personalità che creino lo scheletro per accogliere i nuovi acquisti del futuro e una dirigenza forte, carismatica e presente, qui in Italia. Sogno, appunto.
Non c’è ancora niente di tutto questo, anche se le basi sono decisamente più solide del recente passato. Tuttavia l’ipotesi più credibile di presenza territoriale della nuova proprietà passa attraverso Moratti, richiamato da Zhang (come prima da Thohir) per fare ancora il presidente. Intanto si attende Brozovic. Il croato si comporta come se vivesse su una stella lontana lontana, poco interessato alla sua carriera in nerazzurro, produce selfie strafottenti con un tempismo edificante. Se l’Inter ad oggi è temporaneamente fuori dai giochi lo deve anche a lui, colpevole di non aver dato a De Boer una scelta logica per sostituire Joao Mario.
A questo proposito diversi giocatori nerazzurri ritengono squalificante giocare l’Europa League, persino offensivo, dunque si comportano di conseguenza, senza alcuna percezione della loro responsabilità. Perdere due gare consecutive non è da Inter e c’è ormai questa rassegnazione che entra nella pelle di tutta la società. Grandi progetti ma zero mentalità. Solo trionfalismi dopo una vittoria e ottimisti che minacciano chiunque di non salire sul carro, oppure forcaioli che dopo una sconfitta chiedono anche l’esonero del magazziniere.
Non è così che si costruisce una società che vuole diventare una delle otto grandi d’Europa.
Autore: Lapo De Carlo / Twitter: @LapoDeCarlo1
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