Un qualcosa che è mancato all’Inter nella prima annata nerazzurra di Antonio Conte sono stati i ricambi all’altezza dei titolari. Soprattutto a centrocampo, il reparto che necessita del definitivo salto di qualità per puntare in alto. Analizzando i numeri, infatti, ci si rende facilmente conto che la difesa ha svolto egregiamente il suo lavoro: quella nerazzurra è stata la migliore dell’ultima stagione in Serie A con 36 gol subìti e ben 14 clean sheet collezionati da Capitan Handanovic. Dati importanti e rassicuranti che hanno reso l’Inter anche la squadra che ha incassato meno tiri nello specchio in tutto il campionato (120, fonte Opta).
Un discorso simile può essere fatto anche per l’attacco e la ‘cooperativa del gol’ assemblata da tecnico salentino: le 113 reti dell'Inter portano infatti la firma di 19 marcatori differenti, con Romelu Lukaku e Lautaro Martinez assoluti trascinatori. La stagione da record di Big Rom è racchiusa nei numeri: oltre ad aver stabilito il proprio primato di reti stagionali in carriera, l'attaccante belga ha eguagliato Ronaldo il Fenomeno (stagione 1997/98) nel numero di gol al primo anno in nerazzurro. Per lui, in 51 presenze, sono arrivati ben 34 sigilli (23 gol in Serie A, 7 in Europa League, 2 in Champions League e 2 in Coppa Italia). Lauti ha invece recitato la sua parte timbrando il cartellino per 21 volte.
Hanno partecipato al 'Festival del gol' anche diversi difensori e tanti centrocampisti, ma spesso e volentieri in mediana l’assenza di certi uomini è coincisa anche con la mancanza di solidità (è successo dopo le ricadute multiple di Stefano Sensi o quando ai box c’erano i vari Nicolò Barella, Marcelo Brozovic, Roberto Gagliardini e, nel finale di stagione, anche Matias Vecino). E soprattutto di intensità: passano anche da qui i vari crolli del secondo tempo che hanno portato l’Inter a lasciare colpevolmente per strada tanti punti preziosi. Adesso Conte non vuole più un “pacchetto preconfezionato”, ma una rosa ampia e che possa garantire costanti rotazioni nell’arco delle tre dispendiose competizioni. Ma senza rinunciare alla qualità e alla quantità.
Ecco perché è sbagliato limitare al concetto di “doppione” la possibile convivenza milanese di Radja Nainggolan e Arturo Vidal. Per l’effettiva messa in pratica di tale “problema” (come etichettato da innumerevoli opinionisti e autorevoli testate) esistono tanti ‘se’ e troppi ‘ma’, ai quali si aggiunge una domanda: perché i due devono essere considerati per forza come uno alternativo all’altro? Il cileno è ancora in attesa di trovare un accordo con il Barcellona per liberarsi e riabbracciare Antonio Conte, mentre il Ninja suda ad Appiano Gentile già da diversi giorni in attesa di capire il suo futuro, non più seccamente ai margini come un anno fa.
Uno può essere un acquisto top, l’altro un innesto di assoluto valore già presente in casa. Certo, le caratteristiche sono molto simili: temperamento, dinamismo, inserimenti, gol e spirito guerriero sono i marchi di fabbrica di Arturo e Radja che - oltre ad essere stati accomunati per tanto tempo anche dalla cresta e dalla fama da Bad Boys - possono anche ricoprire gli stessi ruoli nello scacchiere tattico di Conte: mezzali di quantità e qualità nel classico 3-5-2, ma anche trequartisti moderni e capaci di affrontare entrambe le fasi di gioco in un ipotetico 3-4-1-2. Avere le caratteristiche simili non significa per forza essere alternativi l’uno e all’altro. E anche se così fosse, per vedere un’Inter finalmente competitiva a 360°, sarà necessario uscire una volta per tutte dall’inutile schema del “chi gioca e chi va in panchina”, perché qualora mancasse uno per infortunio o squalifica ci sarebbe subito l’altro pronto a fungere da controfigura.
Allora perché si continua a parlare di Vidal o Nainggolan e non di Vidal e Nainggolan? Le scelte spetteranno all’Inter e dipenderanno dalle offerte di mercato, ma a livello tecnico-tattico l’ipotetica convivenza nerazzurra di King Arturo e del Ninja non sarebbe assolutamente un'eresia.
Autore: Stefano Bertocchi / Twitter: @stebertz8
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