Ho iniziato a occuparmi di calcio in modo totalizzante otto anni fa. Da quando sono diventato direttore di Radio Milan Inter.
Ero convinto che mi sarei occupato di sport, di calcio.
Invece nel 2006 arrivò Calciopoli. E il calcio in Italia  diventò un caotico dibattito giudiziario, figlio di informazioni parziali e movimenti d’opinione faziosi.
Fino al 4 settembre di quell’anno c’era anche Giacinto Facchetti. Una figura, riconosciuta da tutti, come straordinariamente integerrima, icona della semplicità e della genuinità.
Dal giorno della sua morte Facchetti è stato oltraggiato in ogni modo. Non ho dubbi che, anche da vivo, la volgarità lo avrebbe colpito con eguale ferocia.
I motivi però non sono più ascrivibili al semplice processo che ha mandato in B la Juve e, secondo l’opinione di alcuni soloni, salvato l’Inter. Anche perché Palazzi è lo stesso artefice di un’elaborata spiegazione uscita un anno fa, che tuonava contro un Inter colpevole d’illecito. Lo stesso Palazzi usato, a seconda delle sensibilità  e dai momenti, come un oscuro manovratore e poi come un uomo giusto e illuminato.
E che di mestiere fa il procuratore. Non il giudice. Quando si parla di Calciopoli e vedo il nome di Facchetti usato subdolamente, rifletto su come ad ogni quesito in materia esistano risposte divergenti, trancianti, che non fanno prigionieri, così noncuranti l’una dell’altra da rendere evidente che, dopo centinaia di travasi, manipolazioni, opinioni senza controllo, diffusioni di informazioni parziali, la verità sia andata perduta. Per sempre.
A tenere il  potere c’è un Governo del calcio piccolo piccolo, inadatto per strumenti e cultura a fronteggiare credibilmente eserciti di tifosi, tribuni e uomini di potere che minacciano e accusano con la violenza di questi ultimi sei terribili anni. E quando c’è qualcuno di così debole, a fare razzia sono i nuovi barbari.
Predatori senza controllo che fanno scempio nei forum, negli stadi e persino nelle radio e tv dei più banali concetti sportivi: urlano, sbraitano e devastano la carcassa del calcio e i suoi monumenti.
In occasione dell’anniversario della morte di Giacinto sentivo in radio un’intervista a Mario Corso su chi fosse il Capitano, ma subito dopo arrivava la domanda capestro sulle vicende Telecom e un ex giocatore dell’Inter.
Di quello che era Giacinto Facchetti e tutta la sua straordinaria vita, le sue imprese sportive non c’è traccia.
Da sei anni ad oggi Facchetti è ricondotto dalle bande quasi come un farabutto.
Facchetti non avrà mai la possibilità di dimostrare quanto inette fossero le accuse. Resta l’infamia.
Ne ho tratta una sensazione sgradevole. La stessa che hanno avuto altri sulla giustizia sportiva.
Ma anche sul modo in cui fatti complicati sono stati spiegati in modo semplicistico, a effetto.
Per lavoro sono spesso costretto a leggere arringhe virulente di tifosi che si fronteggiano come israeliani e palestinesi, con enfasi retorica e vendette sanguigne. Dicono: “ci avete tolto questo, ci avete mandato in B, siete dei prescritti, siete degli Onestoni…”. Se la prendono anche con chi non hanno mai visto in vita loro, con una licenza senza autorizzazione e ti trascinano in noiosissime questioni sulla figura di Moratti e Facchetti e altri ancora, ispirati da fatti per loro incontrovertibili letti dai giornali, trasmissioni tv o accreditati da social network col luogo comune sempre innescato. E se rispondi, loro gridano ancora più forte, t’interrompono, si arrabbiano, nemmeno fossero tuoi amici o parenti.
Interesserebbe anche a me avere la verità vera sulla Juventus, il Milan, l’Inter e tutte le altre.
Ma non così.
Non con questa violenza, non a colpi di quegli slogan che si sono impossessati delle menti di questi ex tifosi.
Parlare di calcio, parlare di miti come Facchetti o come Scirea (morto il 3 settembre tragicamente) non è più concesso.
I barbari calpestano tutto, non credono nel calcio o i valori ma solo nella loro squadra, e se vedono un tizio che si chiama Facchetti lo insultano e lo irridono nei loro forum. Perché loro, i barbari, hanno deciso che siamo in tempo di guerra, e andrà avanti per sempre fino a quando non vedranno i loro nemici e i loro vessilli sparire.
Per fortuna non ho quattordici anni. Non mi sarei innamorato di questo calcio.

Sezione: CALCI E PAROLE / Data: Mer 05 settembre 2012 alle 14:17
Autore: Lapo De Carlo
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