Codice etico. Queste due paroline ormai sono entrate nel vocabolario comune di ogni italiano appassionato di calcio, quindi di milioni di persone. Il codice etico è stato istituito da Cesare Prandelli, il commissario tecnico della Nazionale. Una sorta di vademecum su come ci si debba comportare per essere degni di vestire la maglia azzurra. La volontà era quella di mettere un freno agli atteggiamenti talvolta eccessivi di ragazzi che, al di là di giocare a pallone e guadagnare milioni di euro, tali restano.

In questo codice etico rientra un po' di tutto, dai comportamenti in campo all'uso dei social-network, fino alle dichiarazioni a mezzo stampa. Una sorta di regolamento interno. Qualcuno sano di mente si sarà chiesto: qual è la grande novità? In effetti, nessuna. Tutti i gruppi – che si tratti di aziende, squadre di calcio o famiglie – hanno un codice comportamentale, scritto o tacito che sia, dalla notte dei tempi. Regole del vivere comune, nel rispetto di leggi universalmente riconosciute. E allora perché si è deciso di sbandierare ai quattro venti questo famigerato codice etico? Escludendo il masochismo, si potrebbe asserire che in un momento in cui la Nazionale non riscuote il massimo dei consensi si è optato per una sorta di ''operazione simpatia''. Che però si è ben presto trasformata in un boomerang nocivo per il ''povero'' Prandelli, tirato già abbondantemente per la giacca da ogni dove come ogni buon Ct azzurro che si rispetti.

C'è bisogno di un codice etico per non convocare un tizio che si comporta da feroce maleducato? C'è bisogno di un codice etico per non chiamare qualcuno che non fa il bene del gruppo? Ovvio che no. E la situazione si è complicata enormemente quando il mirino si è spostato anche sui falli di gioco. Uno che viene espulso per un qualsiasi fallo già paga in campionato: perché mai dovrà essere punito anche in Nazionale? Sarebbe come essere squalificati in Champions o in Europa League per un rosso in Serie A. Senza senso. Anche perché i falli di gioco sono contemplati e fanno parte dello sport. E in quell'ambito specifico vengono sanzionati. Stop. Non si tratta di etica, si tratta – per l'appunto – di sport.

L'etica è ben altro. L'etica, nello sport, ci entra per vie traverse: truccare una partita, comprare arbitri, falsificare passaporti, proferire insulti razzisti, dichiararsi politicamente in favore di ideologie anticostituzionali. Qui andrebbe applicato davvero un codice etico. Solo e soltanto in questi casi.

E invece, magari, in Nazionale ci ritroviamo gente dichiaratamente fascista oppure omofoba, mentre ci arrovelliamo il fegato e ci poniamo mille domande sul fatto se sia giusto o meno tener fuori qualcuno per un normalissimo (per quanto violento) fallo di gioco. Insomma, il solito minestrone all'italiana di cui proprio non avvertivamo il bisogno. Avevamo già fatto indigestione.

Sezione: La Rubrica / Data: Gio 15 maggio 2014 alle 00:30
Autore: Alessandro Cavasinni / Twitter: @Alex_Cavasinni
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