"Nascerà qui al ristorante L’Orologio, ritrovo di artisti, e sarà per sempre una squadra di grande talento. Questa notte splendida darà i colori al nostro stemma: il nero e l'azzurro sullo sfondo d'oro delle stelle. Si chiamerà Internazionale, perché siamo Fratelli del mondo". L’essenza dell’Inter e dei suoi valori è racchiusa nel testo di fondazione del club, scritto da un gruppo di intellettuali nel lontano marzo del 1908. Ora, 110 anni dopo, c’è ancora chi non ha ancora colto il messaggio e i principi della società che sostiene, ma preferisce mettersi negativamente in luce con ululati degni del miglior troglodita e buu razzisti che non fanno altro che alimentare i dubbi sull’effettivo sviluppo del genere umano. In più, mettendo tutto nel calderone, c’è anche l’aggravante del danno concreto all’Inter - stangata dal Giudice sportivo con le giornate a porte chiuse - e a chi la ama, come le famiglie, i bambini e quella parte di tifo sano che continua a tenere alti i valori dello sport presentandosi allo stadio e comportandosi con rispetto e voglia di limitarsi al godimento dello spettacolo.

Sia chiaro: quello di Kalidou Koulibaly è solo l’ultimo di una lunga striscia di precedenti che hanno macchiato lo sport. Restringendo il campo alla fattispecie nerazzurra, in tanti ricorderanno i cori di discriminazione contro Marc Zoro in un lontano Messina-Inter della stagione 2005/06. I brutti fatti di Inter-Napoli sono finiti sotto la lente d’ingrandimento dei media dopo l’espulsione del difensore senegalese, ma la verità è che per trovare le origini di un problema così delicato bisogna scavare molto più a fondo e fare un esame di coscienza generale, ben più approfondito. 

Il prato di un campo da calcio e tutto il suo contorno non sono altro che uno specchio della società in cui viviamo, e come tale ne mette in luce i pregi e i difetti. Lo sport è da sempre sinonimo di integrazione, di valori positivi, di rispetto reciproco. Concetti dimenticati da parte della gente che la domenica va a sfogare il suo odio per il “diverso” sopra le poltroncine di uno stadio dopo che per tutta la settimana ha puntato il dito sul nemico comune, spesso identificato nell'immigrato di turno. Nella bolgia di San Siro di un tiratissimo Inter-Napoli non si sono sentiti gli ululati d’odio dopo che Asamoah (nero come Koulibaly) ha salvato il risultato sulla linea respingendo il destro a colpo sicuro di Zielinski. Così come non se ne ricordano sui numerosi gol di Eto’o a San Siro nella stagione del Triplete. Quello di Koulibaly, come detto, è solo l’ultimo esempio, che avuto però grande eco mediatico, di un triste fenomeno che va avanti settimana dopo settimana e da diversi anni. Ma nessuno ha condannato questo con forza e di conseguenza siamo tutti colpevoli. Eccezion fatta per gli autori di alcuni gesti di protesta che non potevano certo passare inosservati: basta ricordare la banana lanciata a Dani Alves (che la mangiò prima di battere un corner), o i cori contro Boateng in un’amichevole pre-campionato ai tempi del Milan che portarono il ghanese a calciare il pallone verso quell'ignorante frangia di spettatori.

In tutto il marcio emerso negli ultimi giorni, trova però spazio la brillantezza e la classe dell’Inter, che con un comunicato di appartenenza prende giustamente le distanze da chi non si rende ancora conto che continua a danneggiare club e, soprattutto, dignità umana. “Il Club ribadisce che dal 9 marzo del 1908 Inter significa integrazione, accoglienza e futuro – viene ribadito nella nota del Biscione - La storia di Milano è fatta di questo, di inclusione e di rispetto. Assieme alla nostra città noi lottiamo da sempre per un futuro senza discriminazioni. Ci impegniamo nel territorio facendoci portavoce di questi valori che sono da sempre un vanto per il nostro Club. L'Inter è presente in 29 paesi del mondo, dalla Cambogia alla Colombia, dove oltre diecimila bambini sono coinvolti nel progetto Inter Campus, che ha l'obiettivo di restituire loro il diritto al gioco in contesti delicati, attività la cui importanza è stata riconosciuta anche dall'ONU. Da quando una notte di 110 anni fa i nostri fondatori hanno messo la firma su quello che sarebbe stato il nostro percorso, noi abbiamo detto no ad ogni forma di discriminazione. Per questo ci sentiamo in dovere oggi, una volta di più, di affermare che chi non dovesse comprendere e accettare la nostra storia, questa storia, non è uno di noi".

Una presa di posizione giusta e forte, dove si rispecchiano la stragrande maggioranza dei numerosi tifosi nerazzurri. Concetto evidenziato anche da Luciano Spalletti nella conferenza stampa di ieri, alla vigilia della trasferta di Empoli, dove ha ribadito senza mezzi termini che la sua è una "posizione di condanna senza se e senza ma. E' giunto il momento di dire basta a quelli che sono cori razzisti, discriminatori, all'inneggiare alla tragedia dell'Heysel o di Superga. Basta alla presa di posizione di uno stadio di fischiare un giocatore o un allenatore per 90'. Basta all'odio nel calcio in generale. Questa è la cosa fondamentale. Era tanto che si diceva di partire, partiamo ma non entro nel merito della sentenza perché si vanno a colpire l'80-90% dello stadio che sono tifosi che preferiscono andare là piuttosto che stare a casa il giorno di Natale. Andare allo stadio è talmente bello che è differente da come viene usato talvolta da altre persone o gruppi. E' chiaro che poi dalla nostra parte l'educazione e il comportamento della squadra si sia anche visto in precedenza e nella partita stessa. Il comportamento dell'Inter è scritto nell'atto costitutivo: Internazionale perché siamo fratelli del mondo. E' un discorso aperto a chi vuole avere un contatto con noi, li accettiamo senza distinzione di maglia o di pelle. Però c'è da fare una distinzione, che è quella dello scorrimento della partita. Se il risultato della partita si vuole accostare a questo non è corretto".

Condivisibile anche la risposta del tecnico, sempre in conferenza stampa, alla domanda sulla proposta del Sindaco di Milano, Beppe Sala, che nelle scorse ore ha avanzato l’ipotesi di far indossare la fascia da capitano ad Asamoah: “Se ci sarà un discorso da fare per ribadire da che parte stare lo faremo volentieri, ma è nel lungo termine che ci sentiamo in dovere di dimostrare come la pensiamo. Il nostro capitano ha fatto vedere nel finale di partita la nostra idea e il comportamento in generale. I calciatori lo hanno dimostrato nella partita stessa. Le cose si cambiano con l'impegno quotidiano, affinché diventi normalità. Perché altrimenti diventa difficile delineare un cambiamento. Non è l'episodio, è l'impegno costante. E' quel che faremo da qui in avanti e secondo me noi come Inter lo abbiamo già fatto diverse volte". Pensiero che fa riflettere. Nel ’95 l’allora presidente nerazzurro Massimo Moratti diede la fascia a Paul Ince per lo stesso motivo, ma la situazione non è sicuramente migliorata. Anzi. Quella espressa da Spalletti è una nozione limpida, che fa riflettere: per cambiare il mondo non servono dei gesti forzati ed immediati, ma ragionati e duraturi. In questo senso, l’Inter vuole dare un segnale… Internazionale. Com’è nella sua indole e nella sua storia. Al contrario di tanti pseudo-tifosi che sostengono di amare una squadra, ma che in realtà non fanno altro che generare solo odio. E continuando di questo passo solo il progresso tecnologico potrà andare avanti e correre alla velocità di una Ferrari, mentre l’evoluzione mentale sarà comunque destinata a proseguire il suo percorso a piedi.

Sezione: Editoriale / Data: Sab 29 dicembre 2018 alle 00:00
Autore: Stefano Bertocchi / Twitter: @stebertz8
vedi letture
Print