Saliscendi di emozioni per la Serie A che nel giro di qualche giorno è ripiombata nell'incubo Covid, questo mai sconfitto del tutto, ma mai così spaventoso negli ultimi tempi. Dopo la ripartenza del giugno 2020 con tanto di protocolli, regole, chiusure, green-pass, riaperture graduali, capienza degli impianti sportivi al 75%... Le lancette sembra abbiano compiuto un passo indietro lungo quasi due anni: e all'alba del 2022 ci risiamo. Duemilaventi parte seconda.
Curva dei contagi in vertiginosa risalita, squadre di Serie A (e non solo) decimate dalle positività e paralizzate dalle conseguenti quarantene, match che cominciano a saltare con tanto di sguardo minaccioso di un calendario congestionato, e le ombre di uno stop al campionato che tornano a sbucare fuori dai cassettoni dell'oblio nei quali erano state riposte. Sospensione del campionato che i vertici del calcio vogliono a tutti i costi evitare per scongiurare il collasso di un sistema immensamente fragile che con fatica e non pochi sacrifici stava ricominciando a risollevarsi e che ha trovato nel Governo una mano tesa al supporto ma non senza nulla in cambio. A farsi carico della delicata situazione è lo stesso Premier Draghi che nelle scorse ore ha cercato il confronto diretto con il numero uno della Federazione calcistica Gravina. Una telefonata che rassicura per certi versi ma spaventa per altri e in attesa del grande meeting di mercoledì prossimo per fare un punto della situazione e trovare una soluzione comune, la Lega Serie A si adegua alle prime richieste avanzate da Roma: abbassare la soglia di capienza degli stadi, soluzione di intermezzo tra le volontà dei club di continuare a giocare a porte aperte e quelle della cabina di regia e del Governo di tornare a giocare a porte chiuse.
Quest'ultima, opzione che terrorizza i club poco meno della sospensione del campionato: "Senza pubblico ameno 3-4 club rischiano il fallimento" tuona Urbano Cairo nella sua esternazione personale che mette sul tavolo degli imputati il protocollo utilizzato fino a questo momento, mostrato chiaramente per la prima volta con tutte le fragilità strutturali che finora avevano retto ma che ora rischiano di frantumare il castello di cristallo costruito nell'ultimo anno e mezzo. Soli 5mila gli spettatori ammessi sugli spalti per le gare di 22esima e 23esima giornata: un numero che fa rumorosamente quanto tristemente rima con porte chiuse ma che al momento sembrava l'unica via percorribile dalla Lega che, bloccata tra incudine e martello, ha provato a tirar fuori dal cilindro una soluzione immediata e stringente che possa tamponare nell'immediato l'emergenza. Gli intenti sono quelli di tornare ad una riapertura totale a fine mese, auspicio questo difficile, a giudicare dai numeri e incongruenze ancora una volta evidenti.
Se il provvedimento di cui sopra di chiudere quasi totalmente le porte degli stadi agli spettatori riguarda i prossimi due turni calcistici, diverse saranno le indicazioni per il 21esimo turno di Serie A che si aprirà oggi alle 12.30 con Venezia-Milan. Per la 21esima giornata infatti, la capienza di tutti gli stadi della massima competizione italiana è rimasta invariata: spettatori sugli spalti al 50%. Discorso che ritrova analoga applicazione per la finale di Supercoppa italiana in programma per mercoledì 12 gennaio a San Siro che riguarda l'Inter in prima persona e che fa gioire senz'altro i tifosi già in possesso di biglietto per le due suddette gare ma che lascia inevitabili interrogativi e dubbi dei quali è difficile comprenderne le logiche. Ma non finisce qui. Con la scelta varata nella giornata di ieri dalla Lega di permettere una capienza di soli 5mila presenti per le due giornate sopraccitate sorge un'ulteriore allarmante aspetto: il tetto massimo stabilito non tiene infatti conto delle proporzioni con le capienze totali dei singoli impianti, il che significa che in stadi come quello di Venezia, dove la capienza è di 9.900 posti, la soglia permessa è addirittura superiore al 50%. Un dato che porta ad inevitabili scompensi tra club e non appare la più ideale delle soluzioni volte ad evitare il contatto dunque il contagio.
Insomma ancora una volta tutto cambia per non cambiare mai. "(Andrà) tutto bene" sì, ma niente sarà in ordine: prego sedetevi comodi, la stagione della navigazione a vista è tornata.
Curva dei contagi in vertiginosa risalita, squadre di Serie A (e non solo) decimate dalle positività e paralizzate dalle conseguenti quarantene, match che cominciano a saltare con tanto di sguardo minaccioso di un calendario congestionato, e le ombre di uno stop al campionato che tornano a sbucare fuori dai cassettoni dell'oblio nei quali erano state riposte. Sospensione del campionato che i vertici del calcio vogliono a tutti i costi evitare per scongiurare il collasso di un sistema immensamente fragile che con fatica e non pochi sacrifici stava ricominciando a risollevarsi e che ha trovato nel Governo una mano tesa al supporto ma non senza nulla in cambio. A farsi carico della delicata situazione è lo stesso Premier Draghi che nelle scorse ore ha cercato il confronto diretto con il numero uno della Federazione calcistica Gravina. Una telefonata che rassicura per certi versi ma spaventa per altri e in attesa del grande meeting di mercoledì prossimo per fare un punto della situazione e trovare una soluzione comune, la Lega Serie A si adegua alle prime richieste avanzate da Roma: abbassare la soglia di capienza degli stadi, soluzione di intermezzo tra le volontà dei club di continuare a giocare a porte aperte e quelle della cabina di regia e del Governo di tornare a giocare a porte chiuse.
Quest'ultima, opzione che terrorizza i club poco meno della sospensione del campionato: "Senza pubblico ameno 3-4 club rischiano il fallimento" tuona Urbano Cairo nella sua esternazione personale che mette sul tavolo degli imputati il protocollo utilizzato fino a questo momento, mostrato chiaramente per la prima volta con tutte le fragilità strutturali che finora avevano retto ma che ora rischiano di frantumare il castello di cristallo costruito nell'ultimo anno e mezzo. Soli 5mila gli spettatori ammessi sugli spalti per le gare di 22esima e 23esima giornata: un numero che fa rumorosamente quanto tristemente rima con porte chiuse ma che al momento sembrava l'unica via percorribile dalla Lega che, bloccata tra incudine e martello, ha provato a tirar fuori dal cilindro una soluzione immediata e stringente che possa tamponare nell'immediato l'emergenza. Gli intenti sono quelli di tornare ad una riapertura totale a fine mese, auspicio questo difficile, a giudicare dai numeri e incongruenze ancora una volta evidenti.
Se il provvedimento di cui sopra di chiudere quasi totalmente le porte degli stadi agli spettatori riguarda i prossimi due turni calcistici, diverse saranno le indicazioni per il 21esimo turno di Serie A che si aprirà oggi alle 12.30 con Venezia-Milan. Per la 21esima giornata infatti, la capienza di tutti gli stadi della massima competizione italiana è rimasta invariata: spettatori sugli spalti al 50%. Discorso che ritrova analoga applicazione per la finale di Supercoppa italiana in programma per mercoledì 12 gennaio a San Siro che riguarda l'Inter in prima persona e che fa gioire senz'altro i tifosi già in possesso di biglietto per le due suddette gare ma che lascia inevitabili interrogativi e dubbi dei quali è difficile comprenderne le logiche. Ma non finisce qui. Con la scelta varata nella giornata di ieri dalla Lega di permettere una capienza di soli 5mila presenti per le due giornate sopraccitate sorge un'ulteriore allarmante aspetto: il tetto massimo stabilito non tiene infatti conto delle proporzioni con le capienze totali dei singoli impianti, il che significa che in stadi come quello di Venezia, dove la capienza è di 9.900 posti, la soglia permessa è addirittura superiore al 50%. Un dato che porta ad inevitabili scompensi tra club e non appare la più ideale delle soluzioni volte ad evitare il contatto dunque il contagio.
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