"Marotta, di' qualcosa di interista". Con lo sguardo fisso in camera, mentre si serve di silenzi assordanti o parole inflazionate per spiegare il ko di Dortmund, Antonio Conte ripensa alle vecchie campagne elettorali che gli hanno permesso di essere nominato come premier in Italia e in Inghilterra senza aver mai avuto alcun peso politico in Europa.

Nonostante le rassicurazioni scontate piovute dai piani alti, martedì è arrivata la seconda bastonata continentale che ha provocato la reazione del tecnico leccese, la cui voglia di litigare con qualcuno si è tradotta nell'appello di una maggior presenza mediatica da parte dei dirigenti. "Spero arrivi qualche dirigente a dire qualcosa", le esatte parole usate da Conte tre ore dopo le riflessioni dell'ad della parte sportiva che si dichiarava 'ottimista' anche di fronte a un 'percorso lento' di crescita portato avanti da un 'allenatore esigente'. In mezzo a queste due versioni stridenti, tra disfattismo impulsivo e fiducia dettata dalla diplomazia, il punto medio è rappresentato dalla legge del campo che racconta di una squadra incompiuta a certi livelli per un elenco di limiti da ricercare fuori e dentro i novanta minuti del Westfalenstadion. E' sempre al rettangolo verde e a quello che gli sta immediatamente intorno che bisogna guardare per fare un'analisi a 360 gradi. Le parole 'calciomercato' e 'gennaio', ad esempio, sono anacronistiche a inizio novembre e non aiutano nella ricerca del problema; è legittimo, invece, parlare delle valutazioni sbagliate fatte nella preseason purché si circostanzino gli errori. Sono ancora troppi gli elementi oscuri della strana estate 2019 a tinte nerazzurre: per il quieto vivere dello spogliatoio, il club ha salutato con un 'a mai più' tre colonne tecniche della rosa come Mauro Icardi, Radja Nainggolan e Ivan Perisic senza monetizzare come avrebbe dovuto per reinvestire. Se il croato è stato bocciato a livello tattico anche pubblicamente dal tecnico (vedendo il Biraghi versione tedesca qualche dubbio sulla bontà della scelta viene), gli altri due epurati sono stati giubilati dalla società per i loro comportamenti extracampo. Scelta legittima, salutata come inizio di una nuova era, ma avallata da chi? Per Maurito, stando al recente racconto di Marotta, era stato pianificato tutto prima del suo arrivo. Versione che non collima con i fatti susseguenti al 13 dicembre, visto che il dirigente varesino ha proseguito per diverse settimane il suo lavoro di mediatore cercando di trovare – in mezzo alla giungla social-televisiva costruita da Wanda Nara - la quadra nell'intricata questione del rinnovo dell'ex capitano. Il resto è storia: zero rimpianti dalla separazione fisica di Icardi, che ha fatto sapere di voler restare a Parigi, e Lukaku designato - su suggerimento di Conte - come centro di gravità dell'attacco. Più Sanchez come elemento di differenza rispetto al materiale a disposizione di Spalletti. Risultato? Il plus/minus Lukaku-Icardi a spanne finora è a zero, mentre le buone notizie arrivano dall'esplosione di Lautaro Martinez e dall'apporto futuribile del Nino Maravilla, 'nuovo acquisto' per la seconda parte di stagione. A un attacco rinforzato, però, fa da contraltare un centrocampo impoverito dalla partenza di Radja Nainggolan, giocatore per cui solo una stagione prima si era deciso di fare all-in cedendo per qualche spicciolo Nicolò Zaniolo. Qui il discorso è, se vogliamo, ancora più complesso: Conte – Ninja dixit – era 'malato' di lui, ma ha preferito assecondare la linea societaria non opponendosi alla sua cessione. Con una naturale conseguenza: la mediana da rinforzare perde il suo elemento migliore per accogliere Stefano Sensi e Nicolò Barella, due promesse se parametrate ai piani di espansione della Beneamata. Anche al netto di una crescita esponenziale impossibile da prevedere a luglio per i due giovani italiani, il discorso sulle scommesse da vincere in chiave futura più che per vincere nell'immediato è quasi naturale. Una verità apparsa evidente in data 5 novembre, quando l'elettorato nerazzurro ha scoperto dal suo leader maximo che non sono loro a poter trascinare la squadra nei momenti in cui manca la luce. "Stiamo parlando di un gruppo di giocatori che, a parte Godin, non ha vinto niente. Ci sono anche situazioni difficili da gestire. A chi chiediamo? A Barella, che abbiamo preso dal Cagliari? A Sensi, arrivato dal Sassuolo?", ha puntualizzato amaro Conte che, nel tentativo di deresponsabilizzare due degli elementi più preziosi del gruppo, ha finito per stritolarli in un abbraccio troppo protettivo.

Questi sono i danni a livello comunicativo che provoca Conte, autolegittimatosi a fare certe uscite grazie al credito che ha saputo costruirsi in poco tempo anche a Milano. Quel che sbaglia sono i modi con cui parla di questioni sacrosante perché si lascia sopraffare dal suo dna juventino secondo cui 'vincere è l'unica cosa che conta' e dal rosicamento acuto che deriva da una sconfitta subita in rimonta. La rimonta, Conte, la subisce prima in panchina e poi davanti alla telecamere. Quando vince parla di anno zero per rimarcare il proprio merito e per ringraziare i suoi giocatori. Quando perde si fossilizza su fattori esterni, prendendosi solo una piccolissima parte della colpa: in un caso, dopo il Bvb, ha parlato di errori fatti in sede di programmazione tirando in mezzo chi comanda ("Magari mi sono fidato di alcune situazioni e non avrei dovuto..."), in un altro, a Barcellona, si è concentrato su Skomina e sul disagio provato per la sua direzione di gara. Nell'ultimo caso, perché l'Inter ha perso 'solo' tre volte finora ha usato la metafora del grattacielo per fotografare il divario netto con la Juve al termine del 2-1 subito contro i campioni d'Italia.

Qualcuno può definirli alibi, altri spiegazioni aderenti alla cruda realtà. Quel che è certo è che sarebbe ora di spezzare questa dicotomia secondo la quale Conte è per forza un vincente o uno che trova delle scuse quando non riesce a farlo. L'uomo chiamato a ristabilire l'ordine delle cose è Beppe Marotta, che deve spiegare la genesi della preoccupazione che alberga nel cuore dell'uomo che ha scelto in prima persona per ripercorrere gli anni ruggenti in bianconero. Lo deve fare al più presto per evitare che l'Inter diventi nella carriera di entrambi l'eccezione che conferma la regola. "Spero di avere tanta forza per vincere anche con l'Inter, stiamo lavorando tanto", ha detto Conte dopo la rimonta imposta al Bologna. Prospettive agli antipodi nel giro di tre giorni, senza troppa coerenza nel racconto della storia di cui non si conosce il finale. E' qui il vero punto: l'epilogo a cui punta Conte è lo stesso di Suning, quel che cambia è il punto di vista. I proprietari cinesi ragionano come dirigenti d'azienda, il tecnico come uomo di campo che conosce le regole spietate del calcio. Ecco perché l'appello di Conte non può rimanere inascoltato: "Marotta, di' qualcosa di interista". 

Sezione: Editoriale / Data: Gio 07 novembre 2019 alle 00:00
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
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