Il tempo possiede l'inimitabile dote di cancellare (se vuole) ogni evento dalle memorie dei più, anche se si tratta di situazioni verificatesi non molto tempo addietro. Se nella mente di qualcuno questo postulato non risulta convincente, si può volgere il pensiero ad un principe, dal prestigio ormai consunto, dalla corona arrugginita, un tempo ricoperto di onori e di gloria, e adesso terribilmente immalinconito, oggetto dei dubbi dei suoi tifosi e preda dello scherno dei rivali.
Diego Milito e la sua parabola discendente sono la fotografia che meglio immortala l'anno e mezzo di fallimenti nerazzurri successivi a quello che resta l'impresa più grande che una squadra italiana abbia compiuto in una stagione. Di quella Tripletta, l'argentino con quella faccia che sembra un misto tra Enzo Francescoli (ve lo ricordate il numero 10 di Cagliari e Torino idolo di Zidane al punto da chiamare suo figlio con il suo stesso nome?), e Silvester Stallone nel primo storico episodio di Rocky, fu uno degli indiscussi artefici, se non il principale. Gli dei del pallone decisero che fosse proprio lui a timbrare il cartellino nelle tre gare decisive che decretarono il triplo trionfo: fu lui con uno splendido destro a distruggere la casa sapientemente tessuta da un innocente ragno sotto l'incrocio dei pali all'Olimpico di Roma, fu lui con una zampata di destro a spegnere i sogni di rimonta di quello che ora è il nostro allenatore, fu lui con due prodezze assolute a colorare di nuovo di nerazzurro la Champions dopo quasi mezzo secolo.
Aveva dovuto attendere il compimento delle trenta primavere per poter vestire la maglia di un top club, dopo aver galleggiato tra piccole e medie squadre senza conseguire significativi risultati: Racing, Genoa in b, poi Real Zaragoza, e il ritorno a Genova, con quel contratto stipulato all'ultimo secondo prima della chiusura della sessione estiva del calciomercato. Un ritorno in Liguria che sancì la svolta per la carriera del Principe, che con i suoi 24 gol in 31 partite condusse il Genoa ad un passo dalla Champions, vedendosi spalancare le porte di Appiano Gentile.
Per acquistare lui e il compagno Thiago Motta, l'Inter rinunciò ad un talento sulla rampa di lancio (che non si realizzò mai, ndr) come Acquafresca, con l'aggiunta di qualche milioncino. "Uno spreco", denunciò uno sdegnato Paolo Bargiggia di SportMediaset, una scelta scellerata di mercato portare un trentenne lasciando andare un giovane di prospettiva. I fatti smentirono Bargiggia, e incoronarono il principe, che diventerà presto "Re nella notte di Madrid", come decanterà con parole ricolme di giubilo Massimo Marianella, nella sua indimenticabile telecronaca della finale di Champions. Quella notte del 22 maggio 2010 consacrò Milito nell'Olimpo dei grandi della Competizione, e ne fece una leggenda nella ultracentenaria storia nerazzurra. Ma segnò anche l'inizio di una deprimente parabola discendente, cominciata già con quelle evitabili dichiarazioni nel post partita "Ho ricevuto delle offerte, non so se resto", o qualcosa di simile, parole che stridevano troppo con quanto i suoi piedi avevano appena scritto sul campo. Una dichiarazione che racchiudeva in sé i tipici crismi di una richiesta di aumento; una lauta ricompensa per i suoi 30 gol che avevano contribuito alla conquista del Triplete.
Moratti è sempre stato un generoso, premiando con eccessiva indulgenza anche chi non gli portò manco l'ombra di un trofeo (chiedere a Recoba per avere conferma); non avrebbe potuto non ascoltare quella richiesta malcelata. E così fu! Un rinnovo fino al 2014 a 5,5 milioni di euro all'anno, alla faccia del tanto decantato Fair play finanziario che di lì a poco sarebbe diventato l'assordante e odioso ritornello delle successive sessioni di mercato, alla faccia di un'opzione su Cavani lasciata scadere, e alla faccia dei (tanti) milioni che il Real Madrid avrebbe offerto per ricongiungerlo con il suo mentore Mourinho. Peccato che l'incantesimo del Principe si sarebbe di lì a poco trasformato in un malefico sortilegio che lo avrebbe catapultato in una triste dimensione dalla quale non ne è più uscito.
Una serie di delusioni hanno fatto seguito a quel magico trionfo: prima il ruolo di riserva ai Mondiali dove Maradona gli preferiva tutti, persino Martin Palermo; poi giunse la sconfitta in Supercoppa Europea condita anche da un rigore fallito. A questo si sommarono i tanti infortuni, un digiuno di gol in campionato sempre più acuto. I due sigilli nella semifinale del Mondiale per Club e nella finale di Coppa Italia, rappresentarono solo un misero granello di zucchero in un oceano di amarezze. Peggio ancora sta accadendo in questa stagione: i due gol all'esordio con Gasperini, sono stati solo una pallida illusione, perché la corona del Principe ha preso di nuovo ad incrostarsi e a perdere di prestigio. La pletora di lodi ricevute in passato rappresenta un pallidissimo ricordo, e ha pian piano lasciato il posto alla disperazione dei suoi sostenitori: il Principe non segna più, neanche i gol a porta vuota, che un tempo avrebbe segnato anche ad occhi chiusi. Una collezione di fallimenti che cancellano, o quanto meno sbiadiscono come vecchie foto, le conquiste di un anno e mezzo fa.
Come se non bastasse è giunto inesorabilmente il premio simbolico, ma non per questo meno umiliante, del ''Bidone d'oro''. Milito alla stregua dell'etilico Adriano, o del trivelone Quaresma, o ancora dello "strasupersopravvalutato" Felipe Melo, suoi celebri predecessori.
Neanche un "nobile decaduto" come lui ne è stato esentato. Il triste corollario di un'incantevole favola, presto diventata la sceneggiatura di un film horror. L'acme di un declino di chi, a ragione, soltanto dodici mesi fa sognava un altro trofeo ricoperto d'oro, ma a forma di pallone, quell'oggetto sferico un tempo così facile da scaraventare alle spalle dei portieri avversari, e oggi diventato il suo più acerrimo nemico.
Alex
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