A La Tribù del Calcio, Nicola Berti, amatissimo ex centrocampista dell'Inter, racconta gli anni della sua indimenticabile esperienza in nerazzurro. Amore a prima vista, nato nell'estate del 1988, e ancora vivo tra i tifosi nerazzurri, anche perché ha rappresentato una sorta di 'esorcista' per il nemico rossonero. "Nella stagione 1988-89 ero cercato da tutti i grandi club d'Italia; la Fiorentina mi aveva venduto al Napoli, dove c'era Luciano Moggi, ma sapevo che l'Inter aveva bisogno di rilancio; allora rifiutai e andai all'Inter, felicemente visto che il primo anno vincemmo lo scudetto dei record, con 58 punti. Da lì in poi è nato questo amore meraviglioso".

Berti rivela inoltre: "Arrivarono cinque giocatori nuovi, mezza squadra, con me, Bianchi, Matthaeus, Diaz; ma ci capimmo immediatamente. L'unica cosa che forse è mancato di questa Inter è stato un altro scudetto, quello del 1991 vinto dalla straordinaria Sampdoria di Vujadin Boskov. Ma quel tricolore potevamo vincerlo". Il soprannome 'cavallo pazzo', ricorda, nasce "dalla corsa e dalla predisposizione agli inserimenti. Nascevo come attaccante nel Parma, ho sempre avuto questa dedizione agli inserimenti; fu Sven Goran Eriksson a mettermi a centrocampo alla Fiorentina, e quella fu la mia dimensione ideale. In mezzo al campo, a lottare, sono sensazioni straordinarie".

Una data rimarrà fissa nella memoria dei tifosi e anche sua: "Il 23 novembre 1988, in Coppa Campioni col Bayern Monaco, quando presi palla nella mia area e segnai. Tutti i tifosi che incontro ricordano e mi chiedono di ricordare quella cavalcata, contro una squadra leggendaria. Dopo il gol ho visto la curva e sono andato avanti inginocchiandomi nella neve. Una cosa pazzesca". Fra i suoi compagni, il legame principale è nato con Aldo Serena, col quale si sente ancora oggi: "Ma all'epoca coi tifosi si aveva un contatto a pelle coi tifosi, oggi invece sono tutti blindati. C'era un'altra atmosfera". 

Berti descrive anche il calciatore tipo: "Una persona a posto, educata al sacrificio. La competizione è dura, ma ti insegna a rispettare certe regole. Queste cose il calciatore le ha dentro, poi deve mantenerle. Poi sei giovane e devi divertirti, questo è indubbio". Di Giovanni Trapattoni ricorda: "Un secondo padre, capiva le mie pazzie. Ci si guardava, ci si capiva, mi diceva: 'Ragazzino, divertiti ma stai calmino...'. Gli piaceva questo aspetto, poi vedeva quanto rendevi negli allenamenti, la serietà è quella". 

Altro grande personaggio di quella Inter era Peppino Prisco: "Il più straordinario che abbia mai conosciuto; sarcastico, con un'intelligenza acuta, sfidarlo in fatto di battute era impossibile, ci ho provato ma era impossibile. Una grandissima persona". E da Prisco si passa ai derby: "Ricordo quando il riscaldamento si faceva in una palestra; in quegli istanti partivano le pallonate ai milanisti, ci si guardava già in cagnesco. All'epoca era un derby, non ci si parlava; ora ci si saluta, si cambia squadra, è diverso. Prima la cosa era più complessa ma più divertente. In certe partite si sono stati screzi; una volta con Paolo Maldini litigai in campo, e a un certo punto per due anni non ci siamo nemmeno parlati. Dopo una sconfitta in Coppa Italia, Franco Baresi mi fece il gesto delle tre dita; persi la testa, litigai con tutti, poi in sala stampa dissi la famosa frase: 'Meglio sconfitti che milanisti'". 

 

Sezione: In Primo Piano / Data: Ven 04 aprile 2014 alle 23:15 / Fonte: Premium Calcio
Autore: Christian Liotta
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