Il migliore del mondo, semplicemente. Un soprannome nato per sbaglio, anzi, per uno sbaglio. Probabilmente. Quello che commette nel 1992 l'allora commissario tecnico della Nazionale Sacchi che decide di non includerlo nella lista dei convocati per un'amichevole in Olanda, preferendo Pagliuca e Marchegiani. Lui, da uomo orginale e mai banale, risponde alle domande dei giornalisti intonando l'intramontabile Hanno ucciso l'Uomo Ragno. Ma i supereroi non muoiono mai, perché lui lo è veramente, e proprio come nei cult di fantascienza conquista il trono del mondo in tre occasioni, consecutive: 1989, 1990 e 1991, diventando 'il numero uno tra i numeri uno' nella classifica stilata dall'IFFHS. Numeri.
Giramondo come allenatore, l'Italia ora è solo un ricordo, perché la sua vita si chiama Emirati Arabi e solo un sentimento particolare potrebbe riportarlo a 'casa', che indirettamente si chiama Inter, come spiegherà in seguito. Il ragazzo della Nord, che da piccolo sogna di scendere nel campo che ogni domenica ammira dal secondo anello verde, immaginando di alzare al cielo qualche trofeo con la maglia 'impossibile'. Ma... Impossible is nothing ed è proprio lui ad accorgersene: scudetto record 1988-1989, doppia Uefa 1991-1994 e Supercoppa italiana 1989, con le sue manone che mostrano in bella vista una scritta importante, la scritta da 'portiere dell'anno', senza dimenticare il riconoscimento quale miglior guantone del Mondiale 1990, nonostante l'epilogo beffardo che tutti ricordano.
Nerazzurra, la propria vita, passata tra stadio e campo, con un sogno nel cassetto che adesso si chiama 'panchina', la stessa che sfiora nella stagione 2011-2012, ma "Nonostante i contatti, i discorsi non proseguirono perché io non ero libero in quel momento". E la giacca da tecnico nel giorno di Real Madrid-Inter Leggende è già ricordo per sempre. Blu e nero, il suo sangue. Un sangue che ormai contrasterebbe non poco con i colori rivali, quelli di Milan e Juventus, perché "Non si potrebbe mai lavorare insieme, per motivi chiarissimi".
Attualità, passato e futuro, con un nastro riavvolto che il popolo nerazzurro non si stancherà mai di rivedere. Perché il suo è nastro di valore, nastro importante, nastro... da interista. È il film di Walter Zenga, uno dei migliori portieri della storia del calcio, che si racconta ai microfoni di FcInterNews. Parola, quindi, all'Uomo Ragno.
Zenga, la squadra ha vissuto una prima parte di stagione altalenante, con la sconfitta contro il Cagliari che ha fatto vacillare l'entusiasmo creatosi dopo il roboante successo con il Sassuolo. Lei come giudica questo momento?
"Credo sia presto per esprimere un giudizio. Ragionando da allenatore posso dire che il vero obiettivo dell'Inter debba essere quello della Champions League, quindi preferisco esprimere un commento, un'idea solamente a lungo termine, evitando di sofferarmi su un singolo avvenimento o episodio. La stagione è partita con un obiettivo, la campagna acquisti è stata finalizzata in questo senso e credo che non ci possano essere delle vie di mezzo. Bisogna raggiungere il terzo posto. Punto".
Nelle ultime ore, negli ultimi giorni, il tifo nerazzurro ha rivolto accuse pesanti al tecnico Mazzarri circa il suo operato. Reputa esagerate queste critiche?
"Attenzione, tengo a precisare che Mazzarri non ha assolutamente bisogno di un avvocato difensore, anche perché il primo a sapere che le cose non stanno andando al meglio, al 100%, è lui stesso. Un allenatore ha sempre davanti a sé dei problemi e la mossa più importante che deve fare è proprio quella di trovare il modo di risolverli. Lui cercherà di farlo attraverso le proprie capacità e la conoscenza calcistica di cui dispone. La gente giudica, ma io non posso permettermi di parlare da tifoso come lo fanno altre persone, nonostante abbiano molta voce in capitolo. Io sono un allenatore e, quindi, non posso giudicare anche perché, chissà, io al suo posto avrei fatto molto peggio. Nessuno può saperlo. Il discorso è che se parlassi da tifoso sarebbe un conto, da allenatore un altro".
Capitolo mercato: nel corso dell'estate sono arrivati giocatori utili alla causa, considerando anche il rapporto qualità-prezzo. Nonostante questo, pensa che la rosa accusi ancora delle lacune in qualche reparto?
"Manca qualcosa, perché non abbiamo ancora quella personalità che, al contrario, hanno altre squadre. Probabilmente questo è legato anche al rinnovamento che le altre hanno iniziato anni fa: la Juventus veniva da annate negative, la Roma cambiava allenatore ogni sei mesi, ma oggi sono le squadre più forti d'Italia, con i giallorossi che stanno dimostrando anche in Europa. Il motivo di questo è che hanno dei giocatori di esperienza e personalità, oltre al fatto che conoscono profondamente l'ambiente. Senza voler togliere nulla all'Inter, il fatto che Nagatomo o Vidic possano essere i capitani di questa squadra, simboleggia e conferma proprio questo rinnovamento e cambio generazionale ancora in atto. Questi sono momenti che bisogna passare e penso che l'idea della nuova proprietà fosse proprio rivolta al raggiungimento di Europa League e Champions League, rispettivamente, al primo e al secondo anno. In fin dei conti, la Coppa dei Campioni è a portata di mano, distante solo quattro punti. Lo scudetto dell'Inter sarà proprio il terzo posto. Anche se, ovviamente, comprendo la profonda arrabbiatura dell'intero ambiente per una sconfitta pesante come quella contro il Cagliari. Tornando a Mazzarri, valuto positivamente il lavoro che ha svolto fino a questo momento, considerando la squadra e la situazione che ha ereditato, con un nono posto finale".
Da grande ex portiere, come si comporterebbe in caso di grande offerta per Handanovic al termine del campionato?
"Vorrei fare una premessa. A fine agosto sono stato ospite per qualche giorno sia del Real Madrid che dell'Atletico Madrid, tramite Ancelotti e Berta (direttore sportivo dei colchoneros, ndr) e i giocatori che ho potuto ammirare sono tra i migliori al mondo, con atleti del calibro di Ronaldo, Bale e James Rodriguez che si allenavano in un centro sportivo stupendo. Dall'altra parte, invece, è vero che non ci sono star di questo livello, ma i biancorossi hanno acquistato, comunque, gente come Mandžukić, Cerci, Oblak e Griezmann e proprio per questo motivo ho fatto un'analisi tra me e me: in questo momento il calcio italiano non può permettersi di fare operazioni di questo genere e quindi, in caso di super offerta per Handanovic che reputo uno dei miei punti di forza, non posso permettermi di lasciarlo partire, avendo la forza di dire no per investire, in un secondo momento, dei soldi che potrebbero arrivare proprio dalla Champions League. Con questa liquidità si potrebbe operare in modo differente sul mercato, non cercando solamente giocatori a parametro zero, nonostante l'occasione e l'intelligenza di un affare di questo tipo. Personalmente, non vedrei di buon occhio un arrivo 'a zero' di 32-33 anni, ci penserei due volte prima di prenderlo".
Tante, numerosissime volte si è parlato di un suo approdo all'Inter per quello che avrebbe potuto essere la realizzazione di un sogno, non solo per lei, ma per l'intero popolo nerazzurro. L'Inter ha mai cercato realmente Walter Zenga? Può svelarci un retroscena di cui ancora non si conoscono i particolari?
"Posso dire che c'è stato un contatto, un paio di telefonate, quando Ranieri era in bilico, prima della scelta di Stramaccioni. Il problema fondamentale è che non sono mai stato libero dalle altre società, quindi era complicato in quel momento, anche a livello di costi".
Può confermare che il sogno rimane lo stesso...
"Certo, il mio sogno è quello di allenare l'Inter. Resterà tale per sempre, non è un problema per me ribadirlo. Ma se dovesse realizzarsi vorrei che non fosse perché la società ha terminato tutti i bonus, tutte le opzioni. Mi piacerebbe essere chiamato, magari per il dopo Mazzarri, solamente per le mie qualità. È il sogno della mia vita".
Ha detto che il contatto risale al periodo-Ranieri. Qual è il vero motivo del mancato prosieguo del discorso?
"Non c'è stato nulla di clamorosamente ufficiale e definitvo. Ci fu semplicemente una telefonata in cui l'Inter mi chiese se fossi vincolato con altre società. Purtroppo, in quel preciso momento, lo ero".
Per ipotesi, se Zenga fosse stato libero, sarebbe diventato il nuovo allenatore dell'Inter?
"Può darsi, può essere tutto (ride, ndr). Non amo particolarmente parlare di ciò che 'non è stato', io sono abituato a pensare all'attualità e al futuro. Tutto quello che è passato non lo considero più".
Momento rewind per Zenga: come ha vissuto la finale contro il Salisburgo? Considerando la partita super da lei disputata e il seguente addio all'Inter.
"Rispondo facendo un parallelo con l'attualità. Quando dico che bisogna sostenere Mazzarri, posso prendere come esempio proprio quell'annata: in campionato andammo malissimo, dire che facemmo schifo è poco. Lo stadio era ostile nei nostri confronti e a San Siro l'atmosfera si raddoppia e quindi diventa complicato giocare con un clima del genere, sentendo tantissimo la pressione. Ed è proprio per questo che vorrei che i tifosi sostenessero la squadra e Mazzarri, perché alla fine dell'anno vincemmo la Coppa Uefa, giocando delle partite pazzesche in un percorso straordinario, cancellando un'annata fallimentare. In Europa i tifosi ci sostenevamo ed erano presenti allo stadio. So cosa vuol dire quando un tifoso è stanco e contesta, conosco benissimo la pressione del Meazza e in quella squadra avevamo giocatori di grandissimo livello, come i Sosa, i Berti, i Bergomi, i Ferri, ma abbiamo rischiato di retrocedere, perché alla penultima di campionato eravamo quasi spacciati. Pensi che con la personalità di cui disponevamo, in campionato non combinammo nulla, mentre in Europa andò diversamente. Perché? La Coppa era da dentro-fuori e, quindi, eri obbligato a dare il massimo. La contestazione ci sta, il tifoso fa bene a esprimere il disappunto con la massima attenzione, perché è colui che fornisce linfa vitale alla squadra, ma è altrettanto giusto capire che a inizio stagione nulla è compromesso. Aspettiamo la fine dell'annata per tirare le somme".
Tornando a Zenga allenatore, cosa ci dobbiamo aspettare dal suo futuro? Con il sogno-Inter sempre presente.
"Ho intrapreso la mia strada. Vivo negli Emirati Arabi, ho la residenza qui e non ho più alcun legame con l'Italia, se non con mio fratello e i miei primi tre figli che ormai sono grandi e sono diventati i miei 'scudieri'. È stata la mia scelta dopo Palermo. C'è stata qualche occasione per tornare ancora in Italia, ma ho preferito così".
Se arrivasse una chiamata dall'Italia, quindi, declinerebbe?
"Non saprei. L'Italia è sempre il mio Paese, però... non saprei, veramente".
Domanda con tranello: squilla il suo cellulare, dall'altra parte Milan o Juventus. La sua risposta.
"Milan e Juventus non mi chiamerebbero mai, nella maniera più assoluta. Mai, mai. C'è un motivo: sono società importanti, di un certo livello e, dal canto mio, sono una persona altrettanto importante della quale tutti conoscono fede e passato calcistico. Pur essendoci stima nei miei confronti non si potrebbe mai lavorare insieme, per motivi chiarissimi. La situazione è molto palese, da ambo le parti".
In chiusura, un messaggio per i tifosi. Il saluto di Walter Zenga al popolo interista.
"Dico sempre una cosa, come faccio anche tramite il mio profilo Twitter e in ogni altro modo: Forza Inter! Sempre, sempre, sempre. Indipendentemente da tutto e da tutti".
Autore: Francesco Fontana / Twitter: @fontafrancesco1
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