Niente da fare. È una prerogativa tipica del tifo nerazzurro quella di auto flagellarsi, di cercare sempre la nota negativa, spesso di criticare a prescindere, così, giusto per il gusto di farlo. La ricerca spasmodica dell’autolesionismo. Magari senza nemmeno conoscere i fatti nella loro interezza. E io sono sinceramente stufo di tale pratica.
Attualmente, girovagando sui social colorati del cielo e della notte, l’oggetto del contendere è se Thohir sia o meno ricco. Beh, di fatto non si sa molto sulle reali possibilità economiche di ET, uomo assai schivo a telecamere e media (strano per un proprietario di giornali e tv), geloso della propria vita privata, poco incline a farsi vedere o notare in pubblico. Comunque sia, si parla di un patrimonio personale che oscilla tra i 20 e i 25 miliardi di dollari.
Certo, se paragonato a quello di Carlos Slim, proprietario della squadra messicana del Leon e considerato l’uomo più ricco al mondo tra i patron di società calcistiche professionistiche con un patrimonio personale intorno ai 70 bilioni di euro (diciamo che Abramovich al confronto è un povero ricco), si tratta di noccioline. Ma, di fatto, pochi conoscono il Leon e la sua storia. E, pur potendo contare su una montagna di soldi, non mi sembra che il signor Slim investa poi così tanti euro nella costruzione di una corazzata sportiva.
Molti tifosi nerazzurri hanno capito e recepito il messaggio che, soldi a parte, il nuovo presidente ha inviato, nemmeno tanto indirettamente, al popolo che ama e segue la Beneamata; Thohir non, e sottolineo non, ha mai parlato di una sorta di rifondazione in tempi brevi o brevissimi. Nel suo discorso di insediamento ha chiesto tre anni di tempo per riportare l’Inter ad alto livello, al posto che ci compete per storia e per blasone. Parole chiare, semplici da comprendere: ci sono dei debiti, tanti, vanno saldati attraverso un piano finanziario che, tra parentesi, la nuova dirigenza ha presentato recentemente all’UEFA con esiti, sembra, alquanto positivi.
Economicamente, lo sappiamo un po’ tutti, la situazione non è delle più rosee. E il Financial Fair Play, con le sue regole contorte finché volete ma purtroppo quelle sono, non consente a qualsivoglia proprietario di immettere direttamente denaro nelle casse societarie. I club devono essere in grado di camminare sulle proprie gambe, indipendentemente da chi sta al timone. E non valgono i paragoni con City e PSG; perché i primi vennero acquistati da Al Mubarak nel 2008, in tempi lontani rispetto al tanto temuto FFP, mentre i secondi vennero acquisiti con poche decine di milioni nel 2011. Nulla rispetto ai circa 300 milioni di debiti che, sembra, attanagliassero le casse nerazzurre.
Ora, entrare nei meandri dell’economia calcistica non è nelle mie corde; ma internet ha il dono di poter tranquillamente offrire a chiunque sia interessato ampie delucidazioni in proposito. Basta avere un pochino di tempo, un pochino di pazienza e un pochino di voglia di leggere.
Di fatto, Erick Thohir diventa proprietario della maggioranza delle azioni nerazzurre a luglio 2014; cinque mesi fa. Di fatto.
Non riceve in dote una squadra pronta a lottare per la conquista della Champions League né del campionato. Si trova proiettato in un mondo, quello del calcio italiota, obsoleto e distante anni luce dal modo in cui è abituato, Lui, a condurre i suoi affari; che è poi il modello anglosassone, snello e meno complicato del nostro. Meno legato a interessi pubblici e privati. La proprietà del PSG, giusto per rimanere in tema, ci ha messo un nanosecondo per trovare l’accordo con la giunta parigina per rinnovare il Parco dei Principi e per sfruttarne i proventi; dopo gli Europei del 2016 la società di Al Khelaifi potrà contare su uno stadio da 60.000 posti, un impianto a cinque stelle. Qui, da noi, se vuoi abbellire la tua casa sportiva, devi parlare con quello, che a sua volta deve vedere l’altro, che poi deve dialogare con l’altro ancora che deve confrontarsi con una quarta parte che a sua volta deve sentire una quinta parte... l’esaltazione della burocrazia più antiquata, insomma…
Di errori, calcisticamente parlando, ET ne ha fatti. Rinnovo di Mazzarri in primis, cosa di cui non era convinto ma della quale si è fatto convincere. E, se proprio volete, anche il mercato estivo sembra non abbia portato eccessivi miglioramenti della rosa. Però, cerchiamo di capirci, stiamo parlando di un presidente insediatosi da poco tempo, a digiuno parziale di calcio. Che sta lentamente entrando in un mondo e in logiche a lui sconosciute in precedenza.
Ricordo gli esordi di Massimo Moratti; sesto il primo anno, settimo il secondo. È vero, arrivò Saverio, ma insieme al capitano ci vennero propinati i Caio o i Rambert di turno. Pagati cifre astronomiche. Lo scotto dell’esordiente.
Ora, non sono né mi sento particolarmente aziendalista. Anzi. Se c’è da criticare ben vengano le critiche, ma costruttive. Non amo sparare sul pianista a prescindere.
È un momento difficile? Bene, io mi schiero con Thohir e con la nuova dirigenza. Perché del tempo ha chiesto e del tempo gli va dato. E perché, nelle difficoltà, è più bello essere interisti.
Amatela, sempre e comunque.
E buon anno a Voi, calcio escluso.

Sezione: Editoriale / Data: Sab 03 gennaio 2015 alle 00:00
Autore: Gabriele Borzillo / Twitter: @GBorzillo
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