Lungi da me prendermi meriti che non mi spettano. Io sulle scelte dell’Inter e sulle dichiarazioni di allenatori e giocatori conto meno di zero. Anche se sono convinto che ci leggano (perché lo so) devo essere onesto e non spacciare per potenzialmente veri determinati fatti sui quali credo proprio di non aver influito.

Ma posso affermare senza ombra di dubbio, né pericolo di smentita – per conferma basta leggere i miei editoriali di anni o mesi fa – che quel tipo di mentalità da me tanto agognata e ricercata è presente anche nel D.N.A. di José Mourinho e di Antonio Conte. Passato e presente dell’Inter.

“Quando non vinco non posso essere felice. Non posso cambiare questa cosa nel mio Dna. Se sei felice di perdere le partite, allora è difficile essere un vincente. Ho dei principi che non posso cambiare e che hanno attraversato tutta la mia carriera: uno di questi è che non mi piace perdere”, le dichiarazioni, fresche di giornata, di Josè Mourinho durante la presentazione come nuovo manager del Tottenham. 

“Bisogna prepararci ad affrontare un’annata dura, dobbiamo migliorare e io mi metto dentro. […] È una maniera, con un fondo costruttivo, per cercare di capire dove si è commesso qualche errore. Si può fare meglio perché siamo l’Inter. […] E l’Inter deve sempre puntare in alto”, quelle in conferenza stampa di Conte per spiegare le parole post partita di Dortmund.

Ecco, a mio avviso si può discutere sui modi. Per me il mister pugliese avrebbe dovuto esporre lo stesso concetto utilizzando anche altri termini. Ma i contenuti sono al 100% condivisibili. 
L’Inter e gli interisti degli ultimi anni si erano abituati ad una mediocrità preoccupante. Come se fosse normale navigare nelle zone meno nobili della classifica. Come se perdere di misura contro la Juve e o quasi senza veder palla, ma solo 0-2, a Barcellona, fosse positivo. Logiche di una clamorosa piccolezza.

Nessuno, signori, pretende di vincere campionato, Champions o Coppa Italia. Ma almeno provare a lottare e arrivare senza patemi nell’Europa più nobile deve essere scontato. Come che possa fare risultato con chiunque. Certo, poi servono i campioni e una rosa ancor più competitiva. Ma l’accontentarsi rischia di essere deleterio.
Sul mercato si possono perdere potenziali crack. In campo magari si prende gol e si perde la partita. Ma se ti chiami Inter devi sempre puntare al massimo. Il che significa fare tesoro degli errori del post Triplete, capire che troppo spesso si è stati una piccola squadra, grande solo nel nome, e puntare ora a grandi e plausibili (non pindarici) obiettivi.

Il primo su tutti l’acquisizione di una mentalità di grande squadra che ti permette di vincere quelle partite che devi vincere. Come Torino sabato. O a Praga martedì. Per continuare a stare lassù in campionato. E meritarsi successivamente una sorta di spareggio anticipato contro il Barcellona.

Con una normale – e vincente – incazzatura qualora le cose non dovessero andare bene. O la soddisfazione di aver lavorato e capito di essere sulla strada giusta tramite il responso del verde.

VIDEO - COSI' DE PAUL HA CONQUISTATO L'ARGENTINA IN COPPA AMERICA

Sezione: Editoriale / Data: Ven 22 novembre 2019 alle 00:00
Autore: Simone Togna / Twitter: @SimoneTogna
vedi letture
Print