Non saranno tutti contenti, come invece chiedeva Mancini per sciogliere il dubbio. Ma chissenefrega. L'importante è che il tecnico il dubbio lo abbia sciolto in brevissimo tempo dopo l'allarme lanciato alla vigilia di Sassuolo-Inter. Quel “Resto al 100%, sento la fiducia della società”, pronunciato lunedì scorso ai microfoni di 'Gr Parlamento', suona proprio bene in vista della prossima stagione. Basta con gli isterismi in casa Inter, con i cambi forzati, dettati in gran parte da un'onda emotiva senza logica. La storia e i numeri non tradiscono, non sono confutabili. Roberto Mancini, da quando ha iniziato a fare l'allenatore, senza gavetta peraltro, ha vinto in tutte le piazze in cui è andato. Per verificare, basta sfogliare gli almanacchi.

E non è vero che non sappia dare un gioco riconoscibile alle sue squadre. Ricordo la Lazio della stagione 2002-2003, all'ultimo giorno di mercato salutarono la truppa Alessandro Nesta ed Hernan Crespo, non Ginetto e Persichetti, tanto per dire. Bene, quella Lazio arrivò quarta, conquistando un posto in Champions League e mostrando per gran parte del campionato il miglior gioco d'Italia. Ho ancora nella mente una spettacolare Lazio-Inter, terminata 3-3 in un sabato del 7 dicembre 2002 allo stadio Olimpico. Al termine del primo tempo i bianconcelesti vincevano 3-1 e in campo sembravano in 22 per velocità, movimenti e sovrapposizioni. Nella ripresa due magie del piccolo turco Emre raddrizzarono la situazione a favore dei nerazzurri, ma quello proposto dal Mancio per almeno un'ora era stato grande calcio. Anche sulla panchina dell'Inter, Mancini aveva iniziato badando molto alla bellezza della manovra. Quell'Inter targata 2004-2005, quella che pareggiava sempre, la palla però la feceva girare a meraviglia, raramente nella storia nerazzurra si era vista un squadra così propensa alla manovra più che al contropiede letale, come da tradizione. Nando Orsi, allenatore in seconda in quel periodo, mi diceva tempo fa come il Mancio fosse quasi un maniaco di movimenti e schemi durante gli allenamenti settimanali.

Poi, è vero, anche per diverse caratteristiche di elementi arrivati dopo Calciopoli, Mancini ha preferito poggiarsi sui colpi individuali e sulla fisicità che abbondava sia in difesa, che a centrocampo, che in attacco. E finalmente l'Inter, oltre alle Coppe Italia, ha cominciato a vincere gli scudetti dopo troppi anni di digiuno. Ecco quindi un'altra qualità di Roberto Mancini, quella di riuscire a infondere la famosa mentalità vincente alle squadre che allena. José Mourinho, che per la Beneamata ha rappresentato l'Helenio Herrera dell'era moderna, ha potuto così ereditare una squadra con le antenne già orientate su certe frequenze. Lo Special One ha poi completato l'opera con la classica ciliegina sulla torta.

Roberto Mancini ha continuato a vincere anche dopo aver lasciato l'Inter, trasformandosi in ottimo manager, secondo la cultura calcistica inglese. Grande carisma quindi al momento di scegliere un giocatore e convincerlo a sposare la causa del club. È chiaro che più c'è disponibilità economica, più si riesce nell'impresa e più si hanno possibilità di vittoria. I detrattori di professione, quelli che non vedono l'ora che all'Inter arrivi un nuovo allenatore per poi chiedere che se ne vada anche lui, dovrebbero ricordarsi che Roberto Mancini ha accettato di tornare al “capezzale” del club a cui vuole un bene sincero, pur conscio di non trovare né il Moratti di una volta non prigioniero delle regole imposte dal Financial Fair Play, né lo sceicco di turno. Questa volta, all'Inter Mancini ha trovato un Erick Thohir che tenta di supportarlo nei desideri, ma che nel frattempo deve rimettere a posto i conti secondo i dettami Uefa.

“Il Financial Fair Play penalizza l'Inter”, ammette Javier Zanetti. Mancini quindi meriterebbe solo rispetto per essere tornato senza garanzie passate e per aver comunque elevato il rendimento della squadra. L'Inter è arrivata quarta, miglior risultato delle ultime cinque stagioni, ha giocatori importanti che possono fare bene anche alle casse, ha però estremo bisogno di migliorare per tornare nobile. A mio avviso la mission non è impossible, ma per riuscire teniamoci stretto il signor Roberto Mancini.

Sezione: Editoriale / Data: Mer 18 maggio 2016 alle 00:00
Autore: Maurizio Pizzoferrato
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