La Supercoppa italiana, ovvero la via più facile per tornare a riaprire la sala trofei di Viale della Liberazione, è diventata una trappola per l’Inter. Arrivata da intrusa a Riad, per ammissione del suo allenatore, la squadra nerazzurra, perdendo contro il Bologna in semifinale, ha confermato la sua allergia agli scontri diretti, dando nuovo materiale ai suoi detrattori di vecchia data.

I trionfi con Bayern Monaco e Barcellona rimangono le meravigliose eccezioni delle ultime due stagioni, quelle in cui il percorso e il bilancio hanno preso il sopravvento sull’ambizione di alzare i trofei. Se il record di ricavi e la seconda finale di Champions League disputata in tre stagioni restano un vanto, non si può non far notare che la bacheca chiusa per due anni sia un qualcosa di cui non andare troppo fieri. I problemi che hanno causato questa astinenza sono molteplici e di facile individuazione, ma resteranno insoluti, se a correggerli saranno le stesse persone che hanno fatto di tutto per ignorarli. Quando, dopo la sbornia per la seconda stella, Piero Ausilio parlava di fare meno danni possibili non toccando la rosa che aveva stravinto lo scudetto e, tre sessioni di mercato dopo, anche Beppe Marotta arriva a sostenere che a gennaio non ci sia niente da riparare, la sensazione è che gli orologi nel mondo nerazzurro si siano fermati al 23 aprile 2024. Vuoi per gratitudine, vuoi per il poco margine di manovra imposto ai dirigenti da Oaktree, l’Inter è rimasta sempre uguale a se stessa, come se si considerasse semplicemente non migliorabile. Fino a creare all’interno dello spogliatoio quella convinzione di essere ‘ingiocabile’, per detta di uno dei senatori della squadra, Henrikh Mkhitaryan. Non certo l’ultimo degli sprovveduti quando parla. Eppure, anche l’armeno non ha resistito alla tentazione di definire la propria squadra come un qualcosa di eccezionale. E nell’era Inzaghi l’Inter è stata effettivamente unica in Europa nel modo di proporre calcio, quello stile che era la sola via per ottenere risultati. Non sono mai esistite scorciatoie per l’Inter che, dopo aver dovuto forzatamente rinunciare a Romelu Lukaku e Achraf Hakimi, non ha più avuto in rosa quel 'semplificatore' che ti porta alla vittoria anche senza dover profondere uno sforzo massimo. Difficilmente, negli ultimi quattro anni e mezzo, l’Inter ha vinto partite senza fare una prestazione migliore dell’avversario; al contrario, non è infrequente che perda o pareggi gare che magari ha controllato o, ancor peggio, dominato. Da qui l’aggettivo nuovo usato da Mkhitaryan, 'inspiegabile', proprio al termine della lotteria dei rigori di venerdì scorso per parlare degli errori tecnici commessi nell’ultimo terzo di campo dai suoi compagni. Manca spesso la giocata, sembra quasi che non possa esistere se non al culmine di una trama di gioco corale. A volte si è posto rimedio con i calci piazzati (Bayern e Barcellona sono gli esempi più noti), ma è una situazione che non può portare frutti sul lungo periodo, anche perché qualche volta è diventata un’arma a doppio taglio nella propria area di rigore. Senza ritocchi che aggiungano caratteristiche differenti in rosa, l’Inter resterà questa nell’anima: bella e incompiuta. O stravince oppure rischia di vedere scivolare via senza gloria alcuni dei migliori anni della propria storia. Il ridimensionamento post-tricolore 2021, mascherato dal lavoro egregio di Simone Inzaghi, rischia di esplodere tutto insieme nei prossimi mesi, mentre Antonio Conte, colui che capì l’antifona con anni di anticipo, intanto si laurea supercampione d’Italia con il Napoli con lo scudetto sul petto. I trionfi dell’ossessione e della cattiveria, nate da delusioni profondissime ma anche da rivoluzioni pesanti. Merito di un condottiero che non ha mancato di tirare picconate al gruppo nei momenti critici e di una proprietà ambiziosa che ha saputo assecondarlo. Se l’Inter vuole cambiare il suo destino, non deve più darsi alibi. A partire da Cristian Chivu che, almeno qualche volta, dovrebbe mettere i giocatori davanti alle proprie responsabilità senza provare ad assolverli sempre. Il resto lo deve fare la società. 

Sezione: Editoriale / Data: Gio 25 dicembre 2025 alle 00:00
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
vedi letture
Print