C’erano una volta i ritiri lunghi almeno tre settimane, quelli fatti in alta quota per ossigenare meglio il fisico e volendo anche le menti dei calciatori in vista dell’inizio della nuova stagione; quelli dove gli allenatori avevano già a disposizione tutta o quasi la rosa a disposizione e potevano cominciare a preparare davvero gli schemi e le tattiche in vista degli impegni ufficiali, col calciomercato che chiudeva i battenti ad una determinata data di inizio luglio e poi arrivederci per qualche giorno a novembre, senza il brutto rischio di iniziare a lavorare con un gruppo per poi ritrovarselo modificato a campionato già iniziato. Ma il calcio ormai è radicalmente cambiato anche in questo, e se è vero che questa tradizione del ritiro non si può dire del tutto smarrita, di certo, in un’estate ormai infarcita di tornei e torneini internazionali più o meno economicamente appaganti, ormai la prassi si può definire molto, molto rarefatta.

Venerdì scorso, nella cornice della sala eventi del Casinò di Lugano con tanto di déhors con vista panoramica sul lago Ceresio, è stato presentato il ‘summer training’ 2019 dell’Inter, il primo atto ufficiale della nuova era targata Antonio Conte. Una prima incastonata un po’ a forza in una sola settimana agli albori di luglio, dove presumibilmente il nuovo tecnico nerazzurro lavorerà con un gruppo ben lontano da quello che sarà a sua disposizione al pronti-via della nuova stagione, e dove altrettanto presumibilmente, conoscendo il personaggio e le sue metodologie, si lavorerà ad altissima intensità e col minor numero di distrazioni possibili su quelli che saranno i nuovi dettami tattici da applicare sul campo già dalla International Champions Cup che scatterà poco dopo.

Un ritiro che, almeno per il momento, sembra più pensato a misura di business che di tifoso, visto e considerato che più di una volta, durante la conferenza stampa di presentazione, è stato posto l’accento dai vari relatori sui risvolti economici (visto il contesto, dura stupirsi) dell’arrivo dell’Inter come opportunità di aprire nuovi ponti tra il Canton Ticino, gli sponsor del club e la Cina di Suning, mentre per i sostenitori nerazzurri ci sarà, provvisoriamente stando a quanto affermato, il boccone amaro di un ritiro blindato, visto che la squadra si allenerà sui campi adiacenti allo stadio Cornaredo privi di spalti e pertanto non agibili per questioni di sicurezza. Ci sarà pertanto solo il ‘contentino’ dell’amichevole di fine ritiro con la formazione locale allenata da Costanzo Celestini, che sarà il primo vernissage sotto molti aspetti; non debutterà solo l’Inter made in Conte, ma anche il nuovo manto erboso dello stadio ticinese e, forse, per il Lugano sarà anche la prima uscita del nuovo proprietario visto che il russo nato in Ucraina Leonid Novoselskiy, già numero uno a livello economico del settore giovanile bianconero, è pronto già da tempo per il salto di categoria e per subentrare ad Angelo Renzetti.

Ma come detto in precedenza, sarà un ritiro dove la squadra inizierà ad assimilare a memoria i concetti e le regole ferree del suo nuovo allenatore. Antonio Conte, sin dai primi giorni della sua nuova esperienza, ha deciso di calarsi anima e corpo nella nuova realtà, non solo confrontandosi costantemente, come giusto che sia, con la dirigenza e con lo staff, ma mettendoci anche lui stesso la faccia come fatto qualche giorno fa quando è stato beccato proprio a Lugano mentre effettuava il sopralluogo forse decisivo sui campi che ospiteranno l’Inter fra qualche giorno, quello dopo il quale si può facilmente pensare sia arrivato il suo placet per ultimare l’accordo. Lugano, quindi, non per dirle addio come Ivan Graziani ma per dire benvenuto ad una nuova Inter, scelta come base ideale (‘perfect place to start again’, recita il claim) per il decollo verso una nuova annata che possa essere finalmente foriera di soddisfazioni e di bacheche da riaprire dopo otto anni di cumuli di ragnatele.

Soprattutto, Lugano scelta come ‘campo di addestramento’ per la prima chiamata alle armi da parte del sergente di ferro Conte, uno che ha voluto mettere subito ben chiaro un concetto: si rema tutti da una sola parte, i tempi delle spaccature nello spogliatoio e dei gruppetti e gruppettini sono finiti. ‘Crazy Inter no more’, si comincia da qui. E pazienza se qualcuno si diverte a usare stucchevoli luoghi comuni su un’Inter che si vuole ‘juventinizzare'… Da questo concetto, anzi, da questo imprimatur del nuovo tecnico, partono necessariamente quelle che sono le notizie che stanno accompagnando questo periodo di transizione; ovvero, quelle dei giocatori messi da Conte più o meno con le valigie sulla porta, perché sostanzialmente visti come elementi di potenziale disturbo e dei quali si vogliono anestetizzare in principio eventuali momenti di luna storta che potrebbero nuocere all’amalgama e alla creazione di un gruppo forte.

Ormai è ovvio anche ai sassi che il primo nome, quello sottolineato almeno tre volte in cima alla lista dei non desiderati, è quello di Mauro Icardi. Ormai i fatti sotto ben noti a tutti, ma il sospetto legittimo è che ci sia anche qualcosa che vada ben oltre i suddetti fatti noti tale da scatenare tale putiferio e trasformare quello che era il capitano, il bomber indiscusso, il trascinatore in campo dell’Inter in un giocatore svuotato, pressoché emarginato, quasi una rappresentazione mefistofelica. Ma il rosarino non è il solo, perché col potenziale foglio di via in mano c’è anche Radja Nainggolan; lui, voluto fortemente dall’ex tecnico Luciano Spalletti, la cui stagione è stata segnata in negativo da continui stop fisici e da alcuni atteggiamenti sopra le righe che non sono piaciuti molto ai dirigenti, ma che sul finire ha vissuto una potenziale svolta culminata col gol all’Empoli che ha aperto all’Inter le porte della Champions.

Svolta che sembra però non bastare al belga per blindare la propria posizione, anche se è chiaro che la sua situazione è meno grave di quella di Icardi: in primis, perché sul piano economico ci vuole qualcuno che arrivi con un’offerta pesante soprattutto per evitare di incappare in una minusvalenza suicida e questo qualcuno al momento all’orizzonte pare non esserci; poi, perché comunque Conte non è tipo che disconosce quelle che sono le doti del giocatore anzi da lui cercato ai tempi del Chelsea e che nei suoi schemi può giocare anche un ruolo determinante. Infine, perché comunque lui sarebbe anche il maestro ideale per l’amico Nicolò Barella, destinato con ogni probabilità a indossare la maglia nerazzurra e del quale potrebbe agevolare la crescita e il definitivo lancio a grandi livelli. Con l'auspicio di disputare un Europeo Under 21 tale da far dimenticare gli scetticismi sulla valutazione, e come inizio probabilmente non c'è proprio male...

Insomma, quello mandato al Ninja è un messaggio più o meno subliminale: sta anche a te rigare dritto e dare una mano a questa squadra, anche perché considerata l’età hai in mano le ultime chips per garantirti uno status di giocatore di alto livello (anche se forse ci si è già dimenticati delle sue recenti dichiarazioni in patria nelle quali bene o male ha riconosciuto i propri errori e chiarito di aver preso un’altra via). Ma è un messaggio che in questa Inter vale indubbiamente per tutti: nessun passo falso sarà tollerato, tutti insieme si dovrà tenere la barra dritta. Si dovrà insomma ballare, ma non uno dei quei balli allegri di gruppo da villaggio vacanze, semmai un limbo dove più l’asticella si abbassa e più difficile diventa superarla ventralmente se non con grande abilità e volontà, per evitare di finire in un altro tipo di limbo, quello di stampo dantesco dell’indeterminazione e dell’incertezza del proprio destino.

‘Crazy Inter no more’, indietro non si torna nelle convinzioni già espresse su questi schermi. Ma Antonio Conte questa medaglia al petto la vuole davvero.

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Sezione: Editoriale / Data: Lun 17 giugno 2019 alle 00:00
Autore: Christian Liotta / Twitter: @ChriLiotta396A
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