Inter solida, matura, cinica, grintosa, vincente... Chi ne ha più ne metta! Tutto d'un tratto sulla squadra di Antonio Conte piovono lodi come fossero polpette. Ma l'intensità degli elogi è proporzionale all'entusiasmo e ancor di più ai risultati. Giusto, ma solo relativamente e mentre il mondo sciorina complimenti c'è chi si ricorda di non dimenticare. Perché d'altronde si sa, chi dimentica è complice. E le polpette restano polpette. Qualcuno dice 'Conte come Mourinho', e sicuramente quel qualcuno non dovrà certo essere interista. E un'interista, di certo più interista di Conte, si prende la responsabilità di affermare che Conte è pure meglio di José. 

Se le uscite pubbliche di Mourinho sono frutto di una certosina strategia psicomediatica, quelle di Conte sono quasi sempre figlie dell'istinto dell'uomo nevrotico che difficilmente si concede pizzicotti sulla pancia e altrettanto difficilmente pondera troppo a lungo sui pensieri a caldo. Ma non è questa la sede di uno screening piscologico dei due personaggi, fin troppo ampiamente complessi. Limitandoci alla pura superficialità, da un lato "l'Inter è stata un'immensa grande famiglia, dal Presidente al magazziniere", dall'altro "Non è stato riconosciuto il lavoro mio o dei ragazzi, e ho visto pochissima protezione da parte del club. Quando si vuole vincere si deve essere forti dentro e anche fuori dal campo". Parole che sanno di tutto fuorché di un clima da Mulino Bianco. A quelle dichiarazioni, arrivate nel post Atalanta-Inter e dopo le vittorie consecutiuve contro Genoa, Napoli e Atalanta, sono succeduti altri due successi che hanno rilanciato gli entusiasmi, per l'appunto non solo dell'Inter. Da quell'Atalanta-Inter, poco spazio è stato riservato ai presunti top/flop dei singoli - eccezion fatta per Lukaku-, concentrando l'attenzione mediatica tutta sulla presunta rottura tra Conte e la società. Neppure il digiuno di Lautaro fa così tanta specie e in pochi hanno sbandierato fieri la figurina Panini del maltrattato Eriksen, dopo l'eurogol. E allora sì, Conte come Mou, generare clamore per spirito di protezione e auto-conservazione. Ed esattamente come Mourinho la strategia ha fruttato egregiamente. 

Eppure con questa Inter contiana 2.0, altresì detta Inter post-Covid, lo juventino Antonio supera l'ultra interista José, perché ad onor del vero Conte più di Mou cava il sangue dalle rape come in pochi riescono. E Conte più di Mou ha reso sua una rosa mai più impropria. Nessun mistero infatti che di questi giocatori gli unici realmente 'made in Conte' siano Bastoni, De Vrij, Barella e Lukaku. E persino in questo poker appena citato, l'unico regalo della società al neo allenatore fu il belga. Persino di Barella, acquisto voluto anche da Conte ma sulla lista della spesa nerazzurra già ai tempi di Spalletti, il leccese aveva lamentato l'inesperienza europea in quell'altra uscita post-Borussia non esattamente diplomatica e al miele. Proprio durante quella Antoniata di Dortmund alla società veniva recriminato un mercato non degno delle aspettative di risultati quanto di gioco, in cui, al centro dei malumori c'era un centrocampo che di Conte aveva nulla o poco più. Non molto diversamente è andata dopo il mercato di gennaio, quando, alle promesse di giocatori come Vidal (per non dire Vidal in persona), è arrivato un giocatore come Eriksen, mai richiesto dal salentino, malgrado gli innesti Moses e Young. 

E quando alla ripresa Vecino non è mai tornato utile alla causa, complice un infortunio che non ha certamente agito da collante dopo quella lapalissiana crepa venuta fuori a gennaio, tantomeno ha potuto gioire di quello Stefano Sensi che a inizio stagione lo aveva fatto innamorare. Ed è proprio partendo da questi elementi mancanti, da un Eriksen mai in grado di stupirlo e convincerlo, un Candreva tornato 'zoppicante' dopo la rivitalizzazione della prima metà della stagione, che Conte è stato costretto ancora una volta a fare di necessità virtù. Riuscendo ancora una volta a cavare il sangue dalle rape e riuscendo altresì a vincere la sua personale scommessa. Conte contro tutti. Anche e soprattutto contro quelle fastidiose sentenze che garbano a nessuno, ben che meno ad Antonio.

Gagliardini e la traversa impossibile, il simbolo del flop delle riserve di Antonio Conte, come scrisse qualcuno dopo la maldestra traversa colpita dal numero 5 nerazzurro durante Inter-Sassuolo. E fu così che Gagliardini divenne la variabile più costante di questa squadra. Sempre titolare e mai sostituito, l'ex atalantino ha saltato soltanto la gara contro il Napoli, per squalifica. Contro ogni pronostico e contro ogni lode mediatica, Gagliardini è l'elemento ics che dà sicurezza difensiva, solidità psicologica - secondo i dettami di Conte - persino maggiore rispetto al tanto gettonato Christian Eriksen; con l'83.1% di precisione passaggi è il mediano che fa per questa Inter, visti anche i numeri che lo rendono imprescindibile e insostituibile. Gaglia come Candreva, gli stessi che, fino all'estate scorsa sarebbero stati accompagnati alla porta più che volentieri dai più e che Conte continua a ritenere elementi di fiducia dimostrandosi impermeabile alle critiche. Il secondo per l'avvio, Gaglia per il finale di stagione risultano fondamentali per questa Inter oggi investita da elogi, piovuti come polpette. 

Conte, più di Mou, di quelle polpette si nutre, facendo del suo 'ascolta e passa' il pilastro di una solidità di gruppo, fino a ieri discussa, che non può e non deve venire meno proprio ora, ad un passo dal dunque, ad un passo soprattutto da un risultato per certi versi storico. E sarà solo allora, una volta al traguardo, qualunque esso sia, che sì, Conte avrà vinto la sua sfida: ovvero aver reso suo un centrocampo che mai come quest'anno gli apparteneva per nulla o poco più. 

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Sezione: Editoriale / Data: Gio 13 agosto 2020 alle 00:12
Autore: Egle Patanè / Twitter: @eglevicious23
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