Il destino dell’Inter, e degli interisti, sa sempre assumere forme e sembianze paradossali e beffarde. Qualcuno la chiama “l’arte di rovinarsi la festa”, più probabilmente si tratta di una condanna astrale che fa parte dell’essenza stessa di un club. Una vittoria porta sempre e regolarmente in dote un addio, o più di uno, una sensazione di incertezza e quel neanche troppo velato fastidio che tutto debba sempre disfarsi sul più bello. Possibile. Basta saper trovare l’unicità e la bellezza nella capacità di fare e disfare, comunque da artefici e padroni di un destino né scontato né banale.
Antonio Conte che se ne va dopo la vittoria del Diciannovesimo scudetto, così come José Mourinho andò via dalla festa dopo la Champions del 2010, Rafa Benitez dopo il Mondiale per Club dello stesso anno e Leonardo dopo la Coppa Italia del 2011. Tutti gli ultimi allenatori che hanno vinto con l’Inter, l’hanno anche lasciata, in modi e con motivazioni differenti, a champagne ancora fresco, forse senza nemmeno essersi concessi di finire il bicchiere. Fai l’impresa e poi molli. Perché no, vincere con l’Inter non è mai facile e il dispendio di energie mentali e motivazionali non è inferiore a quelle fisiche ed economiche. Vincere e temere di non saperlo rifare, vincere e accontentarsi di quanto fatto. Vincere senza rilanciare.
Senza che si inizi un’inutile caccia al colpevole, hanno le loro ragioni sia coloro che accusano Suning di voler ridimensionare un progetto che andrebbe invece rilanciato ora più che mai, sia coloro che non vedono di buon occhio la fuga di Conte, per altro dopo aver intascato una ricca buonuscita, senza voler riprovare a fidarsi ciecamente dei suoi ragazzi, già capaci, negli ultimi due anni, di andare oltre molti limiti e difficoltà. Sacrosanto pretendere chiarezza e condivisione di vedute e obiettivi, facile dire “no grazie” in un periodo che costringerà molti a rivedere sogni e ambizioni in nome di conti da sistemare e bilanci da non sforare.
Illusorio pretendere da multinazionali straniere che le società di calcio da loro gestite non facciano i conti con le necessità economiche o che non costituiscano un vantaggio in assenza del quale si pensa a vendere, smobilitare, cambiare. Il calcio dei ricchi signori innamorati dei loro colori (come Moratti e Berlusconi) è finito da un pezzo ed è anacronistico soprattutto nel periodo pandemico. Del resto, lo stesso Moratti con tutta la sua passione e la disponibilità a indebitarsi per la causa nerazzurra, non riuscì a convincere Mourinho a rimanere a Milano e a respingere la corte del Real Madrid. Il calcio ha le sue ragioni che il cuore del tifoso non comprende e che quasi sempre, o addirittura sempre, sono di natura economica. Altro che il calcio è della gente, come blateravano, recitando slogan vuoti e inutilmente populisti, i critici della Super Lega.
L’Inter ripartirà senza Conte, il suo allenatore ideale (chi scrive queste righe ad agosto 2020 scrisse anche: “che Conte sia rimasto è una pessima notizia: per gli avversari dell’Inter”, e qui ci sono le prove) che è fatto proprio così ed è uno da prendere o lasciare. Uno che dà e chiede tutto, ma non lo sa fare a lungo termine. I suoi critici sono velocemente saliti sul carro tricolore per affrettarsi a scendere di nuovo. E’ stato il miglior allenatore che Suning potesse scegliere, ma è anche un allenatore impossibile da trattenere soprattutto dopo una vittoria che richiede, ai suoi occhi, ritocchi per non fare nella stagione successiva peggio che in quella precedente (e quando vinci, di norma è più facile non riuscire a ripetersi). E se non ottiene le garanzie che chiede: arrivederci e grazie.
L’Inter ripartirà con chi avrà l’ambizione di rimanere e di rimettersi in discussione. Qualunque sia la guida dall’alto (Suning o qualche fondo americano) la vera scommessa sarà far restare ad Appiano una dirigenza forte e in cui giocatori, staff e allenatori si possano riconoscere. Marotta, ad ora, è il vero faro e punto di riferimento di una squadra che non è decisa a smobilitare tutto ma determinata a ritrovarsi (come e con chi lo vedremo) per difendere quel triangolino di stoffa appena cucito sulla maglia. Perché il calcio ha pur sempre le sue ragioni.
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