Ormai non si contano più le volte in cui ci siamo trovati a parlare di Inter che hanno distrutto partite già vinte o perso in modo surreale coi Bologna di turno, esaltando le qualità degli avversari attraverso partite interpretate con incomprensibile superbia.
Parlare di come è andata la gara è superfluo, perché non fa storia a sè. Abbiamo già visto questa partita, lo abbiamo visto in questa e altre stagioni, con allenatori e giocatori diversi.
Perciò la ragione non può essere solo tecnica ma partiamo da questa e dal presupposto che Antonio Conte insista in modo ossessivo nel modulo a 3.
Da quando è ripreso il campionato, è sembrato essere Il principale problema nella rappresentazione degli equilibri. Se la squadra ha il centrocampo titolare e in piena forma riesce a reggere lo sforzo, anche se concede sempre comunque un tempo agli avversari, Se invece, come accade da un mese, ci sono giocatori meno in forma o che vengono dalla panchina l'equilibrio per una parte (Bologna, Samp, Parma) o tutta la partita (Sassuolo) diventa una parola priva d senso
Il tecnico non ama fare cambi a inizio ripresa o dopo pochi minuti e, in una partita che si gioca alle 17:15 a luglio, con Brozovic al rientro dopo quattro turni, Bastoni già pericolosamente ammonito e Lautaro che non riesce a buttarla dentro nemmeno per sbaglio, fa i cambi solo a 10 minuti dalla fine, con la partita già indirizzata.
Al termine fa un mea culpa che abbiamo già sentito da tanti allenatori: “qui dobbiamo darci una regolata, a partire da me”, perché Conte è fuoco e passione ma non è un comunicatore brillante e si rifugia in cliché come “possiamo solo lavorare, dobbiamo meritarci l’Inter” eccetera.
Il calcio cambia in fretta. Un giorno sei il tecnico più acclamato e vincente e quello dopo, senza umiltà, vieni superato da una realtà che muta velocemente.
All’Inter accade spesso che gli “uomini del destino” si trovino di fronte a crisi, invecchiamenti precoci e un senso di smarrimento. Persino Mourinho era andato via da Milano un po' incanutito. E’ la società che deve essere forte, più del suo allenatore, più dei suoi giocatori ed è ora di piantarla con le rivoluzioni.
Lautaro Martinez è un caso acclarato. Ha avuto certamente sfortuna in occasione del gol, perché la palla finisce sul palo e pochi minuti dopo, pur centrando la porta, il pallone rimbalza sul piede dell'avversario. Resta il fatto che sbaglia il rigore tirandolo con sufficienza e si muove senza personalità. Sanchez dovrebbe essere il titolare, senza indugi, almeno fino a quando Lautaro non sarà certo di restare o sarà stato definito il suo eventuale trasferimento al Barcellona.
Il fatto che l'Inter si sottoponga da anni allo stesso modello di partite e stagione lascia immaginare che evidentemente la matrice è gestionale.
La squadra di oggi ha dei rigurgiti di follia che, a differenza degli scorsi anni, non fanno parte del suo retaggio ma sono gli indicatori di un cambiamento culturale, di un sistema di lavoro profondamente rinnovato e naturalmente l’inevitabile disagio di un altro cambio tecnico in pochi anni. Si capisce la bontà delle intenzioni ma non è togliendo “Pazza Inter”, sottraendole la sua dimensione che non è stata solo folle negli anni, che si costruisce una squadra vincente. E’ stato un gesto da avversario che conosceva in modo distorto l’Inter e che ha pensato di renderla una macchina da guerra, partendo dal presupposto sbagliato.
Da diversi anni inoltre la squadra fa partite apparentemente convincenti accompagnate ad altre che devastano i punti fermi faticosamente conquistati.
La ripetitività degli strapiombi nerazzurri con la consueta richiesta di cacciata dell'allenatore da parte dei tifosi più inviperiti, con le solite analisi che sono troppo buoniste quando l'Inter vince e smodatamente devastanti quando pareggia o perde, porta a comprendere che l’Inter e i suoi giocatori vivano in una bolla. Sembra quasi che il nerazzurro sia un punto di arrivo che porta i giocatori a imborghesirsi, a non crescere più, al contrario a fermarsi. L’Inter non sembra abituata a gestire i suoi giocatori, a implotonarli, a educarli alla vittoria. Persino nell’Inter di Mourinho c’era un po' di anarchia, come ha ricordato Snejder in una recente intervista, ma questa va amministrata se si ha un potenziale formidabile. Qui ci sono giocatori avulsi e altri che vivono in una mediocrità mentale, la quale, se riceve elogi sperticati per una vittoria, ci crede e perde contatto con la realtà, se perde come oggi e viene criticata all’eccesso, si isola.
L’Inter diventa così figlia unica e viziata. Se vince le fanno tutti i complimenti, se perde la sgridano ma non capisce bene cosa succeda e si chiude in sè stessa.
Importa poco che l’Inter batta il Verona se poi pareggia o perde in casa col Torino
Così non si può riuscire ad acquisire quella fame che dovrebbe essere scontata in giocatori che tra l’altro non hanno vinto niente
Amala.
Autore: Lapo De Carlo / Twitter: @LapoDeCarlo1
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