Tutte le fiabe cominciano con 'C'era una volta', e anche questa storia comincia esattamente allo stesso modo. Una storia in cui la fabula si è intrecciata e che sa poco di fiaba e più di favola, dove i protagonisti da eroi sono mutati in animali ma da macello e il finale detta una morale che manca di letizia. E quella fiaba che fino a gennaio narrava le gesta di una corale ed entusiasmante lotta agonistica che gasava tutti, si è trasformata un film splatter, dove tutto si è ridotto ad essere lacerazione macabra di corpi. Una lacerazione iniziata da principio, quando a litigare non si era attorno ad un tavolo ma dietro uno schermo, sintomo di uno scompenso di equilibri che mai come oggi si concretizza numericamente in una classifica che sembra lo scherzo di un grafico.
Ma nessuno scherzo perché come qualcuno aveva ipotizzato, questa ripresa è più sanguinosa di quanto ci si aspettasse, e soprattutto auspicasse. C’è da alzare l’asticella, si diceva. Ma l’unica asticella sollevatasi è quella della difficoltà e a farne i conti è proprio chi avrebbe dovuto cavalcare l’onda. Il gioco è diventato duro e quando il gioco si fa duro, diventa duro per tutti. E per tutti si intende proprio tutti. I duri più che cominciare a giocare, cominciano clamorosamente a mollare e a quanto pare non è prerogativa di dna. Vincere non è importante, è l’unica cosa che conta - dettano i cromosomi bianconeri. Corredo genetico che Marotta e Conte soprattutto hanno cercato di instillare all’Inter, con risultati fino a questo momento piuttosto fallimentari. Sì, perché la prima a cadere è proprio l’Inter che molla la presa, non trova più la forma, la lucidità, il mordente e soprattutto la vittoria: scivola con il Sassuolo, inciampa col Verona e cade con il Bologna, frantumando quel gruzzolo di punti che l’avrebbe riportata lì dove si era appollaiata per mesi facendosi incoronare l’anti-Juve.
E allora tutti in discussione, Conte compreso, anzi Conte in primis. Squadra allo sfracello, club in crisi, progetto fallimentare e Zhang che da oriente pondera la cessione. Insomma uno scenario da perfetto film horror con finale drammaticamente tragico che non lascia speranza alcuna. Slogan: lasciate ogni speranza voi che guardate. Improvvisamente accade l’impensabile: colpo di scena e persino i codici hollywoodiani vanno a farsi benedire. L’Inter non vince più, e con lei anche le altre. L’effetto Covid diventa effetto domino e nella buia e irrefrenabile caduta verso il baratro con all'Inter seguono pure le altre e se la squadra di Conte in sei partite ne vince tre, pareggia due e perde una, la Lazio di Inzaghi su sei gare ne vince due e perde quattro. A resistere maggiormente ai colpi è la Juve di Sarri che, seppur ferita, non è mai finita. Il segreto? Un vantaggio sulla carta mai discusso: una rosa ampia il doppio delle altre due. Dettaglio non indifferente che per Ronaldo and co funge da salvagente solido quanto una scialuppa che a giocare ogni tre giorni e con le temperature attuali conduce l'equipaggio dritto verso la rotta del nono scudetto. Una navigazione certamente non senza controversie, specie dopo il 2-2 di questa sera allo Stadium, dove la squadra di Sarri ha recitato la solita prova incolore in cui a dominare è l'avversario, riuscendo però a tirar la testolina fuori dall'acqua giusto in tempo prima di affogare nel bel mezzo di un mulinello trainante. Cucù la lotta scudetto non c'è più.
Mentre l'Inter sprofonda in piena crisi diventando carne da macello, il gioco è proprio diventato duro proprio per tutti: la Lazio non vince più e persino la Juve incassa colpi durissimi. L'effetto Covid è diventato effetto domino e a precipitare verso il fondo sono proprio quelle che avrebbero dovuto salpare dritte verso il traguardo. La fiaba è diventata film splatter e a logorarsi incredibilmente non è soltanto l'Inter. E mentre Marotta e Conte sono punto e a capo, da rifare ci sarebbe molto, anche e soprattutto critiche e analisi.
Autore: Egle Patanè / Twitter: @eglevicious23
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