L'Inter non gioca solo a calcio. Mai. L'Inter sa raccontare storie, vivere tragedie, commedie o romanzi epici. Nel bene e nel male e con la consapevolezza che questa vocazione sia, e sia stata spesso, un limite e un ostacolo. Lo sport, in fin dei conti, non è mai solo un gioco, un risultato, una vittoria o una sconfitta. O meglio: chi lo vede e lo vive solo così si perde un sacco di cose. E di storie. Lo sport è spesso riscatto, occasione, passione.
L'Inter che arriva a Natale battendo il Genoa 4-0 e agganciando la Juve in testa alla classifica racconta la storia di un campionato che vuole contribuire a rendere combattuto, avvincente, divertente. Rimanendo lì, con tutti i suoi difetti, a giocarsi le proprie possibilità fino a che sarà possibile. Il più a lungo possibile. Affidandosi alla sua guida, Antonio Conte, e a tutto quello che in questi mesi ha trasmesso ai suoi ragazzi: professionalità, concentrazione, dedizione totale, rispetto, grinta. Conte è nella testa di ogni singolo giocatore con la sua idea di calcio e non solo: è nelle spalle larghe di Lukaku che segna e fa segnare, nella determinazione di Esposito che va a chiedere il pallone per tirare un rigore e corre fino al 90' come un dannato in cerca di grazia, nella voglia di un Bastoni perfetto che sarebbe andato ad anticipare anche i pali della porta e che in quella difesa a 3 ci sta come lo spumante a Capodanno.
Lukaku che lascia il rigore a Esposito, poi, racconta la storia di chi fa la differenza prima come persona che come giocatore, di chi quelle spalle larghe ha dovuto costruirsele per non soccombere. La storia di uno che ha visto la madre piangere mentre mescolava il latte con l'acqua "per farlo durare di più", di chi ha guardato la luce andare via perché non c'erano i soldi per pagare le bollette, di chi ha convissuto con i topi nell'appartamento e ha vinto la sua prima vera sfida a 16 anni, dicendo all'allenatore: "Fammi giocare e io faccio 25 gol entro dicembre". Scommessa vinta perché "non bisogna mai sfidare un bambino che ha fame", avrebbe poi raccontato.
Sarà per quello che di fronte al bambino Esposito, le spalle di Romelu si fanno ancora più larghe sapendo cosa significhi avere finalmente un'occasione e avere, soprattutto, qualcuno che ora quell'occasione è disposto a concedertela. La vita di Lukaku somiglia, per certi aspetti, a un film del 2006, "La ricerca della felicità", il cui titolo richiama ai diritti inalienabili dell'uomo citati dalla dichiarazione d'indipendenza degli Stati Uniti d'America: la tutela della vita, della libertà e la ricerca della felicità. E che racconta un'altra storia, quella di Chris Gardner, imprenditore milionario che prima di diventare tale è stato mollato dalla moglie, buttato fuori casa e costretto a trovare riparo nei dormitori per senzatetto o nei bagni della metropolitana. Serviva un'occasione, serviva rincorrerla e provare a sfruttarla, giorno dopo giorno, quasi oltre ogni limite umano di sopportazione.
Esposito la sua occasione ha iniziato a sfruttarla in estate, quando l'Inter di Antonio Conte giocava le prime amichevoli e non aveva praticamente attaccanti a disposizione. Se non lui, un 17enne fresco e pimpante che ancora prima dei gol ci metteva quella corsa, quel sacrificio e quei movimenti che hanno convinto l'allenatore a tenerselo stretto. In attesa di un'occasione vera che sarebbe arrivata mesi dopo con i debutti in Champions e poi in campionato. Fino alla prima gara da titolare tra i professionisti, col Genoa appunto, e l'occasione della vita che si presenta al momento di un rigore che non sarebbe, in teoria, toccato a lui tirare. L'occasione della vita che ha preso la forma del pallone che le mani grandi di Lukaku hanno deciso di porgergli: "Tira tu, vai convinto e fai gol".
Poi l'esultanza sfrenata di chi realizza un sogno, le lacrime a fine partita dopo essere corso ad abbracciare la mamma dedicandogli il gol, gli occhi lucidi e la voce che si fa sottile per l'emozione durante le interviste. C'è tanto dell'Inter di Conte in tutto questo, in Esposito. Ed è con quella voglia e quella grinta che i nerazzurri devono misurarsi per continuare a correre oltre dei limiti se vogliamo evidenti ma perfettamente mascherati dalle qualità umane e dalla professionalità smisurata che l'allenatore sa trasferire e pretendere dai suoi ragazzi. L'Inter ha un'idea di calcio ma ha anche una mentalità nuova rispetto al passato e a questo si è appoggiata negli ultimi mesi e ancora a questo si appoggerà nei prossimi.
Ve la ricordate una delle scene più belle del film "La ricerca della felicità"? Chris Gardner sta giocando a basket con il figlio, su uno di quei campetti di periferia che solo a guardarli ti sbucci le ginocchia. Il figlio mentre tira verso il canestro dice di voler diventare un giocatore professionista ma il padre lo stoppa in fretta dicendo che, no, non ci riuscirà mai e che farebbe bene a dedicarsi ad altro. Il piccolo, sconsolato, prende il pallone e lo infila in una borsa di plastica, pronto per tornare a casa e non giocare più.
Chris Gardner allora si appoggia alla rete metallica del campetto e guarda il figlio: "Ehy, non permettere mai a nessuno di dirti che non sai fare qualcosa. Neanche a me. Se hai un sogno tu lo devi proteggere. Quando le persone non sanno fare qualcosa, lo dicono a te che non la sai fare. Se vuoi qualcosa, vai e inseguila, punto". Buon Natale a tutti.
Autore: Giulia Bassi / Twitter: @giulay85
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