L'obbligo di vincere. I destini paralleli di Juventus e Inter sono stati segnati in tempi diversi dal medesimo marchio: l'avvento nelle rispettive realtà di Cristiano Ronaldo e Antonio Conte ha portato la competizione a un livello più alto con la conseguenza che l'unico risultato ammissibile porta dritti nella storia del club.

A questo pensava Andrea Agnelli quando, tra lo stupore generale, annunciava in data 10 luglio 2018 l'atterraggio dell'alieno portoghese sul pianeta Serie A, a coronamento di quello che verrà ribattezzato dalla stampa italiana 'il colpo del secolo'. Un messaggio forte e chiaro percepito da tutti i protagonisti della scena calcistica come la concreta dichiarazione di espansione della Vecchia Signora in Europa. Nei ragionamenti fatti dai vertici societari, CR7 era il prezzo salatissimo da pagare (Marotta lo ha definito a posteriori "Atto di coraggio degli azionisti") per arrivare al Sacro Graal della Champions League, sfuggita due volte in tre anni e sette volte nella storia per quei dettagli spesso scritti dai campioni assoluti. Per citare gli ultimi casi, è facile ricordare che Massimiliano Allegri si arrese nell'ordine al Barcellona di Messi, Suarez, Neymar e Iniesta, per poi inchinarsi al Real di Ronaldo (sempre lui), Benzema, Bale e Modric.

Al piano puramente sportivo, la cui previsione ardita - per ora non rispettata - di aggiungere Ronaldo per avere più chance di imporsi da padroni nel Vecchio Continente, va sommato quello economico-finanziario, per nulla secondario rispetto al primo, di raggiungere l'élite dei club più ricchi: i 112 milioni di euro spesi per cartellino e commissioni, più i 58 mln di stipendio lordo annuo riconosciuti direttamente al fenomeno di Funchal sono da pensare come un investimento a 360 gradi. E infatti, l'effetto Ronaldo, che in campo si è esaurito nei quarti di finale di ritorno contro i giovani rampanti dell'Ajax, si è notato soprattutto fuori dal rettangolo verde con un milione di magliette vendute, 58 milioni di ricavi extra attivati tra stadio e commerciale e il seguito digitale ampliato del 68% (dati Gazzetta dello Sport). Numeri che non hanno aggiunto nulla alla bacheca della Juve, se non l'ottavo scudetto di fila, alias l'obiettivo minimo anche prima dell'era futuristica. Al contrario, è rimasta un'eredità pesante da sopportare: mai, in 122 anni di storia, la società ha manifestato la dipendenza da un singolo giocatore come nell'ultima stagione e mezza. E' successo perché – di questi tempi, dove gli aspetti commerciali contano più di quelli tattici - l'ex Real Madrid è stato scelto come autentico traino irrinunciabile per l’intero piano di crescita globale del marchio. A tal punto da 'normalizzare', anche grazie alla acquiescenza della stampa nazionale, la reazione di Ronaldo dopo la sostituzione andata in scena in Juve-Milan. Tutto insabbiato già pochi minuti dopo la partita da Maurizio Sarri, l'ex incendiario sempre più a suo agio nel palazzo dei potenti: "Penso ci sarà un po' di tolleranza. Quando togli un calciatore che sta provando a dare tutto, ci sono i cinque minuti di arrabbiatura. Credo sia normale, alla fine a un allenatore fa anche piacere quando un giocatore si arrabbia per una sostituzione, mi preoccuperebbe il contrario". Tutti sono uguali ma Ronaldo è più uguale degli altri, va protetto in quanto asset tecnico ma anche economico. In pratica, anche se Lokomotiv e Milan dicono il contrario ma potrebbero essere catalogate come semplici eccezioni, vincere senza di lui è un esercizio di fantasia molto complicato da pensare, figuriamoci da attuare. Sarri lo sa quanto Agnelli, ecco perché il perdono è istantaneo e commisurato al peso specifico di vincere senza se né ma. 

Un po' la stessa situazione che si sta vivendo a Milano con Antonio Conte, l'anello di congiunzione tra la Juve dominante in Italia ma povera per sedersi nei sfarzosi ristoranti delle capitali europee e quella odierna, globale tanto da permettersi il lusso di scegliere il miglior giocatore al mondo (con Messi) come icona. E siccome il destino è circolare, il tecnico dell'Inter - dopo aver visto le prime dodici giornate di campionato – sta pregustando una vendetta da consumarsi voracemente in un piatto servito freddissimo. Da qui lo sfogo di Dortmund: l'uscita a vuoto a livello comunicativo del condottiero della Beneamata nascondeva dentro di sé i semi dell'ambizione di un uomo scelto per rinfrescare i fasti di un tempo proprio perché non accetta la sconfitta. Non esistono mezze misure, né pareggi: un piazzamento d'onore al secondo posto a maggio, per esempio, verrebbe vissuto con una tremenda rosicata dall'ex tecnico della Juve. Che impazzisce quando gli altri non lo seguono in questi ragionamenti.

In fondo, Conte e Ronaldo sono simili, anche se partendo da due presupposti agli antipodi. Il 5 volte Pallone d'Oro si sente più grande e indispensabile del gruppo ma ha bisogno di autoalimentare questa sua convinzione attraverso il riconoscimento quotidiano di compagni di squadra, allenatori, tifosi e media. Le diserzioni alle serate di gala in cui non viene eletto come come il top tra i top e alcuni scioperi dalle esultanze dopo i gol in cui non ha partecipato da protagonista sono paradigmatici in questo senso. King Antonio, dal canto suo, usa il gruppo – abile com'è a renderlo vincente - per esaltare i propri meriti e al contempo per nascondere le proprie pecche. E' uno che sa di poter incidere – tatticamente e mentalmente – su un determinato numero di uomini spesso non affermati ma è consapevole che senza i campioni non può legittimare appieno la sua bravura, arrivando a utilizzarla come scudo per ripararsi dalle critiche che si generano proprio per le aspettative che si porta a rimorchio in ogni esperienza. "Cambiando l'ordine degli addendi il risultato non cambia (...). Bisogna dare i meriti a quello che la Juve ha costruito in questi otto anni: se sono arrivati a prendere un campione come Ronaldo, bisogna levarsi il capello", commentò Conte dopo la prima sconfitta da allenatore dell'Inter arrivata per mano del nemico giurato. Con una punta di invidia ma anche con quella fame di vittoria che brontola nello stomaco di chi storicamente ha scelto di guidare verso la gloria gli sfavoriti di lusso. 

La sfida che lanciano uomini come Conte e Ronaldo, due orgogliosi che si sono guadagnati il rispetto altrui col duro lavoro, è prima a se stessi e poi agli altri: uno scenario con cui chi li circonda deve sapere convivere. Assecondando la loro voglia di svettare sugli altri a prescindere, fino a che conviene e non diventa dannosa. Forse Marotta, ex dirigente juventino che Cristiano lo ha appena sfiorato a Torino, lo ha capito prima di tutti: "Conosco molto bene Conte, un uomo molto esigente, un professionista con una cultura della vittoria molto forte e uno stile di comunicazione particolare. In quello che ha detto siamo tutti allineati, la ricerca dell'eccellenza è in tutti noi, lo si fa attraverso un percorso di crescita graduale. Dobbiamo fare attenzione perché tutto è migliorabile ma ci vuole un attimo di tempo". Insomma ci vuole pazienza, almeno fino alla prossima sfuriata.  

Sezione: Editoriale / Data: Gio 14 novembre 2019 alle 00:00
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
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