C’era una volta un giocatore che solo qualche mese fa pensare anche solo di poter avvicinare rappresentava quasi la quintessenza dell’utopia: troppo in alto, troppo importante, troppo corteggiato da troppe potenze di calibro internazionale per poter immaginare che potesse accettare la sfida italiana, oltretutto in un club come l’Inter che pur avendo vinto nella propria storia qualcosa in più del Tottenham comunque deve ancora riconquistarsi il suo posto al sole in ambito europeo, come lui stesso ha potuto anche toccare con mano contribuendo, coi suoi due gol in due partite, all’eliminazione dalla Champions League nel 2018 della squadra di Luciano Spalletti. Eppure, in una serata di novembre non si sa quanto fredda, pare che dalle parti di Viale della Liberazione, qualcuno con un pensiero più ad ampio raggio della media si sia messo in testa che quell’utopia, quel sogno irrealizzabile, potesse improvvisamente diventare una bellissima realtà.

C’è un giocatore che, in una fredda mattina di fine gennaio, ha fatto dimenticare ai tifosi nerazzurri la rabbia e l’amarezza per una domenica dove il pranzo è stato tutt’altro che facile da digerire: oltre 70mila persone accorse in quel di San Siro hanno infatti assistito ad un altro pareggio e soprattutto ad un’altra prova incolore dell’Inter di Antonio Conte, fermata sull’1-1 dal Cagliari capace sì di acchiappare il punto grazie ad una fortunata carambola sul tiro di Radja Nainggolan che, con la complicità del palo, ha messo fuori causa Samir Handanovic, ma che avrebbe potuto benissimo capitolare altre volte se non fosse stato per l’eccessiva frenesia e la lucidità a tratti addirittura assente della formazione nerazzurra. Col contorno, anche questo piombatosi sullo stomaco di tutto l’universo mondo interista, del corto circuito che ha obnubilato l’arbitro Gianluca Manganiello con tutto quello che ne è conseguito. Un pomeriggio altamente elettrico, seppur mitigato dalla sconfitta della Juventus in casa del Napoli che di fatto significa un punto rosicchiato alla leader della classifica, segno più tangibile dei sofismi sulle occasioni perdute e così via.

Poi, però, tutto o quasi è stato messo da parte di fronte a quello sguardo, quello sguardo curioso e un po’ stranito di chi si ritrova catapultato da un giorno all’altro in una nuova avventura, lui che solo fino a poche ore prima era a tutti gli effetti un giocatore del Tottenham pur fischiato e ormai in totale rotta con la tifoseria. Avrà impiegato un po’ di tempo a realizzare di essere arrivato in una nuova realtà e di una nuova dimensione, Christian Dannemann Eriksen, il nuovo gioiello arrivato a impreziosire il campionato italiano e a far brillare gli occhi a tutta l’Inter, tifosi e dirigenti. Sarebbe potuto anche arrivare a giugno a parametro zero, in Viale della Liberazione avevano anche fatto questo calcolo logico; ma la concorrenza, come detto, sarebbe stata ricchissima e molto agguerrita e l’impellenza di avere sin da subito un rinforzo di questo livello è diventata tale da portare l’Inter a provare la mossa a sorpresa, anche a costo di accontentare gli Spurs in toto nelle loro richieste, anche perché riuscire a completare un acquisto del genere per la ‘modica’ somma di 20 milioni di euro o giù di lì, approfittando anche del contesto inglese diventato pressoché insostenibile per il ragazzo, è comunque un autentico capolavoro, da qualunque parte la si voglia interpretare. E in un mercato ‘arido’ come quello di gennaio rappresenta una perla rara per qualità e potenzialità

Arriva in Italia giocatore di primissima classe, che probabilmente si inserisce di prepotenza nella top 3 di questa Serie A; che sceglie il nostro campionato e in particolare l’Inter in barba agli appetiti di altri club di primissimo livello e lo fa soprattutto all’inizio di quella che solitamente si definisce come la fase della piena maturità agonistica e non in età ormai avanzata. Eriksen, quindi, non è arrivato a Milano in cerca dell’ultimo contratto importante della sua carriera e non vede nel Belpaese il luogo ideale per ‘svernare’, come si suol dire in questi casi. E soprattutto, arrivato perché, e si può affermare praticamente senza timore di smentita, crede nel progetto Inter, crede nella volontà di questa squadra e di questa società di voler tornare a grandi livelli. E il suo arrivo, che piaccia o no a qualche irriducibile, rappresenta un ulteriore salto di qualità compiuto da tutta la società, in primis dalla proprietà di Suning che ormai ha pressoché pienamente espiato i suoi peccati di gioventù dei primi tempi grazie anche alla cessione definitiva di quel Gabriel Barbosa tanto decantato e poi accantonato senza troppi perché e ha segnato definitivamente la rotta da intraprendere. Poi, ovviamente, sarà il campo a parlare per lui. Probabilmente non subito, anche se non è da escludere che già stasera contro la Fiorentina, in quella Coppa Italia obiettivo assolutamente da non snobbare, Eriksen possa fare la sua apparizione in distinta tra i giocatori in panchina; sicuramente senza star troppo a pensare alla cabala legata alla scelta del numero, quel 24 che i tragici fatti delle ultime ore (che da appassionato di basket quale sono, fa e farà tantissimo male anche solo poter accennare) hanno reso ormai un simbolo immortale e non semplicemente una divisa indossata da giocatori entrati nella storia nerazzurra il più delle volte dalla porta sbagliata, come qualcuno si è subito premurato a ricordare (come se le carature fossero minimamente paragonabili, ma contenti loro…).

Ha impiegato un po’ di tempo, Christian Eriksen, a rendersi conto della nuova realtà. Per poi sciogliersi, comunque, davanti all’affetto dei tanti tifosi che lo hanno accolto sotto gli uffici del Coni dove ha potuto toccare con mano quanta fosse l’attesa nei suoi confronti, accoglienza che lo ha entusiasmato al punto tale da dedicare loro un piccolo videoselfie. Tifosi che da lui si aspettano prima di ogni cosa grandi gesti sul campo, e poco importerà loro se qualcuno può ancora avere dubbi sull’effettivo ruolo in campo di un giocatore che ovunque verrà posizionato, ha sempre e comunque quella percentuale di qualità, di intelligenza, di abilità balistiche che a questa squadra fanno forse ancora un po’ difetto; e sicuramente, a loro poco importerà se a cena mangerà risotto alla milanese piuttosto che un minestrone, non c’è bisogno a tutti i costi di sfociare nell’agiografia…

E grandi gesti se li aspetta la società, che in attesa di vederlo all’opera nella Scala del calcio gli ha dedicato un palcoscenico d’eccezione, un qualcosa di più unico che raro: in un connubio perfetto tra maestosità, classe ed eleganza, quasi a creare l’abbraccio tra due arti, Milano ha aperto a Eriksen nientemeno che le porte della Scala, quella vera, il magnifico teatro nel cuore del capoluogo lombardo, per una sera aperto solo ed esclusivamente per lui. Lui che viene dalla terra dove William Shakespeare ambientò l’Amleto, ma che ha dato anche i natali a colui che probabilmente è lo scrittore di fiabe più famoso del mondo, quell’Hans-Christian Andersen che con una sua opera ha regalato alla capitale Copenaghen il suo simbolo più noto.

Ha voglia di portare il bel gioco, Eriksen, come ha dichiarato nella sua prima intervista da giocatore dell’Inter. L’auspicio è quello del popolo interista, che chiede al nuovo arrivato di fare come il suo celebre connazionale, ovvero contribuire a scrivere nuove pagine da fiaba per questi colori. Magari trasformandosi lui stesso in un personaggio da fiaba anderseniana, come quell’Ole Chiudigliocchi che aiuta i bimbi piccoli buoni ad addormentarsi soffiando loro sul collo e poi col suo ombrello disegnato li aiuta a vivere sogni bellissimi e ai più buoni racconta storie talmente belle da non essere immaginabili.

Perché Eriksen all’Inter sembrava un’utopia, è diventata una realtà. Sta a lui rendere tutto più bello di un sogno.

Sezione: Editoriale / Data: Mer 29 gennaio 2020 alle 00:00
Autore: Christian Liotta / Twitter: @ChriLiotta396A
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