La prima dell'Inter contiana a San Siro, le maglie finalmente nerazzurre e non “nerostrano”, lo stadio pieno mentre la città era vuota, la vittoria, il gol di Lukaku, il missile terra-aria di Candreva, le esultanze del mister, le sue dichiarazioni pre e post-gara. Poi l'arrivo di Sanchez e Biraghi, i gironi di Champions, i timori iniziali trasformati in un secondo in voglia di dimostrare (Barcellona a parte) chi sia più forte.

Giorni intensi, quindi, in casa Inter, con questa grande voglia di tornare protagonisti per davvero e non solamente partecipanti ad una lotta per il quarto posto che non può essere l'obiettivo primario di un club come quello nerazzurro guidato da una proprietà ambiziosa e finanziariamente forte, come sta dimostrando essere Suning. Piaccia o no, l'Inter sta cambiando pelle, filosofia e modo di agire. Dovrà cercare di non essere più “pazza”, ma forte e regolare, come aveva sottolineato Antonio Conte in una delle sue prime interviste. Non casuale, prima della gara con il Lecce, l'accantonamento dell'inno che invece ne esaltava l'aspetto. Molti sono rimasti delusi per non aver ascoltato e cantato un motivetto che ormai era parte integrante del kit del tifoso nerazzurro, è comprensibile, ma chi parla di stravolgimento del dna e di società che richia di juventinizzarsi, non pensa invece al testo dell'inno che abbiamo ascoltato lunedì scorso. “C'è solo l'inter”, scritta da un interista doc come Elio, è una canzone dedicata al grande Avvocato Prisco e nel testo di dice che “Io non rubo il campionato ed in serie B non son mai stato”. E allora?

La società sta cercando di trasformarsi in quello che milioni di sostenitori interisti hanno sempre invocato. Basta con concessioni a pioggia a chi, lautamente stipendiato, abbia il dovere di impegnarsi al massimo per questi colori senza mettere il suo ego davanti agli interessi del collettivo, basta disattendere regole che sono fondamentali per la costruzione e il consolidamento di un gruppo vincente. La storia nerazzurra e chi l'ha scritta, famiglia Moratti in primis, è sacra e nessuno deve e dovrà permettersi di infangarla, ma il calcio è cambiato. Purtroppo, ma è cambiato.

I club sono diventati aziende dove ogni ingranaggio deve funzionare al meglio con manager professionali e capaci. Il tifoso sta sugli spalti e quello dell'Inter continua, a differenza di gran parte del resto d'Italia, a manifestare un amore che non conosce cambiamenti. I due mondi, società pragmatica e tifo romantico, non devono sentirsi in antitesi, ma anzi rappresentare, a mio avviso, gli ingredienti ideali per un cocktail vincente. Poi, è chiaro, è sempre il campo il giudice supremo e guai a pensare che un poker, seppur esaltante, rifilato ad una neopromossa, sia sinonimo di scudetto già vinto. Il gap da Juventus e Napoli esiste ancora, lo confermano i punti di distacco rimediati nella scorsa stagione da due squadre che si sono, almeno teoricamente, ulteriormente rafforzate in questa sessione di mercato che volge al termine. L'Inter però vuole stupire ed entrare nella mischia che conta.

Domani sera reciterà alla Sardegna Arena contro un Cagliari dal mercato importante, ma scivolato domenica scorsa sulla buccia di banana chiamata Brescia. Lo stadio sarà una bolgia e un certo Radja Nainggolan sognerà la notte del riscatto. Rispetto per i sardi? Tanto. Paura? Nessuna. Perché come ha tuonato Antonio Conte, l'Inter non deve essere scintilla, ma diventare dinamite. Continuità, forza e regolarità. Il mister vuole l'Inter così. Penso che sia anche il desiderio di tutti i tifosi nerazzurri. Anche di chi, ha ancora nostalgia di una canzoncina.

Finale dedicato alla telenovela Icardi. L'ex capitano, quello che diceva di amare l'Inter, ha intentato causa al club con richiesta di reintegro, più un milione e mezzo di danni. Così voleva conquistarsi il rientro in squadra, convincendo un allenatore come Conte. Centoventiquattro gol in nerazzurro buttati nel cesso per non aver saputo sfruttare una grande fortuna: quella di poter diventare la bandiera di una squadra e di una società che aveva investito, tanto, su di lui. Buona fortuna, Maurito. Il talento non basta. L'Inter, ora, è un'altra cosa.

Sezione: Editoriale / Data: Sab 31 agosto 2019 alle 00:00
Autore: Maurizio Pizzoferrato
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