Inter contro Juventus. La madre di tutte le partite. Il derby d’Italia. Due mondi opposti, due pianeti con orbite differenti, chiusi, per forza di cose, nella stessa galassia calcistica. C’è chi dice – correttamente – che “la partita” è la sfida al Milan, ma l’incrocio degli scarpini con i bianconeri porta con sé qualcosa che va al di là del risultato sportivo per la supremazia cittadina. E’ molto di più. I due mondi sono sempre stati diversi, fin dalla nascita dei due club. Il bianconero, creato nel 1897 da alcuni giovani studenti del Liceo classico d’Azeglio di Torino, il nerazzurro, fondato nel 1908 da 43 uomini che cercavano la bellezza e la poesia del calcio. Gli anni 30 portano le epiche sfide dell’Ambrosiana, e il suo bel gioco, alla corazzata Juve, i 50 i due tricolori del presidente Masseroni che arginano la supremazia piemontese. Poi arriva Angelo Moratti, 15° presidente della Beneamata, che lancia il guanto di sfida alla Juve. Su tutti i fronti - perché il presidentissimo nerazzurro non ama fare da comprimario -, sportivo, economico, politico. Si scotta ma poi la mette all’angolo. E vince. Nel campionato 1960/61 nello scontro diretto a Torino del 16 aprile i tifosi che entrano in campo costano alla Juve la sconfitta a tavolino. La Caf ribalta la sentenza e ordina di rigiocare. La questione è che Umberto Agnelli è presidente della Juve e della Federcalcio. L’Inter non ci sta e manda in campo i ragazzini. Nulla sarà più come prima, è da qui che i club sono all’opposto, anche se Moratti, dall’alto della sua magnanimità, prova a ricucire lo strappo proponendo un’amichevole con incasso per i mutilatini di Don Gnocchi.
Nel 1967, l’anno da tregenda in cui in pochi giorni scivolano via tre trofei, la Grande Inter perde a Mantova all’ultima giornata di campionato con una papera di Sarti che passerà poi alla Juve. Polemiche sull’arbitro, sostituito pochi giorni prima, e “classico” rigore negato a Mazzola. Negli anni di Fraizzoli e Pellegrini – scudetto dei record a parte con l’ex bianconero Trapattoni – non ci sarà purtroppo quasi mai confronto. L’arrivo di Massimo Moratti alla presidenza riapre la sfida. Anche se, l’inizio, è pieno di cortesie. Umberto Agnelli si congratula con Moratti per l’acquisto della società, Moratti contraccambia ricordando l’affetto che Umberto, compagno di università del fratello Gian Marco, aveva per sua madre. Poi sarà l’Avvocato a sottolineare che l’Inter ha un presidente gentiluomo. Il rigore dei rigori, di Iuliano su Ronaldo del 26 aprile ’98, spalanca antiche ferite e ne crea di nuove. Moratti dichiara di non credere più nel calcio. I rapporti degenerano e trovano l’apice in Calciopoli: dal 5 maggio 2002, preceduto da una serie di “svarioni” arbitrali pro Juve, agli scontri verbali tra Facchetti e Giraudo; dalle polemiche Mancini-Nedved alle accuse Figo-Moggi; dalla Juve in serie B al tricolore a tavolino; dallo smoking bianco di Materazzi alle repliche di Cobolli Gigli; dallo Special One (in Italia esiste una sola area da 25 metri…) all’arrivo di Andrea Agnelli che respinge ogni addebito e vuole le tre stelle. L’invito, che stempera un po’ le tensioni, di Agnelli a Moratti per assistere a Juventus –Inter, è storia recente dello scorso novembre. Ma alla vigilia Marotta definisce l’Inter di Stramaccioni “allegra” tatticamente. Il campo dice ben altro. Alle 15 di un sabato pasquale di passione, dopo 17 anni filati di notturne, riecco Inter contro Juventus. I due mondi, opposti, tornano a sfidarsi. Occhi negli occhi, nella luce del giorno si vedranno proprio bene. Poi, ognuno, tornerà nel suo mondo. Noi, ben sappiamo in quale stare.
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