"Ma siamo sotto 1-0, stiamo buttando via lo scudetto. Io me ne vado a dormire". Non è tardi, ma in casa dormono tutti. A nessuno interessava di quella partita: la stavo guardando da solo sul divano e, sconsolato, avevo deciso di coricarmi. La Roma stava battendo l'Inter a San Siro. I nerazzurri erano orfani di Ibra e Cruz, con una difesa in piena emergenza. Eravamo primi in solitaria, a +9 dai giallorossi di Spalletti, ma non potevamo permetterci un passo falso: bisognava far capire che i più forti eravamo noi. Ma quella era una Roma che giocava un buon calcio e, sotto sotto, faceva anche un po' paura.
Era il 27 febbraio 2008 e ogni interista era incollato al televisore o al seggiolino dello stadio. Come oggi, sulla panchina nerazzurra sedeva Mancini che, fiero ed elegante, non tratteneva il nervosismo: era vietato perdere. Eppure, dopo un palo di Crespo e qualche occasione sciupata, si era vista solo la Roma che aveva trovato la rete del vantaggio con un inserimento di Totti su assist di Tonetto. Tipico dell'Inter: potrebbe chiudere partita e campionato in netto anticipo, ma si complica la vita e ti fa soffrire. Ormai, come me, ogni tifoso ci ha fatto l'abitudine, perciò niente illusioni: si soffre fino all'ultimo e si spera nel miracolo.
Ma io non ci credevo molto, tant'è che volevo andare a dormire al 40' del secondo tempo. Avevamo giocato un terzo di partita in inferiorità numerica per via dell'infortunio di Maxwell quando i cambi erano già finiti. Espulso Mexes per doppia ammonizione! "Dai, resto ancora un minuto". Resto e faccio bene. Perché nemmeno quando non ci credi più la puoi tradire, ché non si sa mai cosa può succedere. Mi copro la faccia con le mani, ma tengo uno spiraglio con le dita come se, in questo modo, si possa sconfiggere la preoccupazione. A quel punto un pareggio sarebbe stato una vittoria, li avremmo tenuti a -9 e sarebbe bastato. Con questa squadra, si sa, ci si può aspettare di tutto: si può anche essere sotto 2-0 in casa contro la Sampdoria andare a vincere 3-2 nel giro dei cinque o sei minuti finali.
Rimango e tolgo le mani dalla faccia, perché è troppo complicato mangiarsi le unghie. Ma in campo c'è qualcuno che nemmeno ci pensa a mangiarsi le unghie, che non ha mai abbassato la testa, fedele alla maglia e con i colori nerazzurri tatuati sul cuore: Javier Zanetti. Pupi, capitano di infinite battaglie, soffre più di tutti, ma non lo dà a vedere, non se lo può permettere. Può solo dare coraggio ai compagni, ai tifosi e al Mancio. Crespo, in torsione, colpisce di testa un pallone destinato a insaccarsi sotto il sette, ma trova un miracoloso Doni a sbarrargli la strada. La Nord si risveglia e accompagna l'offensiva nerazzurra con urla di rabbiosa speranza. Calcio d'angolo! La palla è allontanata dalla difesa della Roma.
Rimessa laterale da buona posizione! Maicon fa passare per Burdisso che dalla sinistra scodella in mezzo: qualcuno libera l'area. Credo che sia stato Juan a colpire di testa, credo perché è come se, in quel momento, tutti i calciatori in campo fossero diventati sagome prive di nome e volto. Tutti, tranne uno. Javier Zanetti legge in anticipo la traiettoria del pallone, che danza sopra il limite dell'area. Nel momento in cui la sfera si avvicina all'erba il capitano è lì, pronto a raccoglierlo. Non ci arriva in perfetto equilibrio e non libera un siluro: non sarebbe da lui, poco abituato al tiro, figuriamoci a quello da fuori. Però c'è e sa dove mettere il pallone. Davanti a sé trova una schiera di maglie nerazzurre e giallorosse che gli ostruiscono la vista, ma quell'angolino alla destra di Doni è il punto designato.
Mi alzo sul divano, o forse ero già in piedi da qualche minuto. Totti prova a contrastare Zanetti, ma Pupi non si può fermare, non quel giorno, non in quel momento. Scocca il tiro e segna. Si lascia andare a una corsa senza una meta precisa e, per una volta, si scompone: maglia fuori dai pantaloncini e capelli all'aria, il capitano viene braccato da qualche compagno, che gli salta addosso e lo trascina a terra. Lo abbracciano tutti quasi al centro del campo e io, che sono sul divano e in qualche modo ci ho creduto, lo abbraccio attraverso il televisore svegliando, ovviamente, tutti.
Fu storico perché vinto a Parma all'ultima giornata dopo che, ovviamente, ci eravamo fatti riagguantare dalla Roma. Ma quel 27 febbraio, con la rete del capitano, la sua corsa senza meta e il bacio alla maglia... Quello fu il momento in cui capimmo di essere i più forti.
Davide Zanelli
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