La “mia” quinta finale. Delle prime quattro ne ho viste dal vivo tre, ne ho perse due. Ero al Prater dopo un viaggio con Marcello e Pino in una 500 dal colore azzurro e tettino apribile di tela nero. Sapevamo che sarebbe stata difficile, forse proibitiva. Giocavi contro Amancio, Puskas, Gento e l’immenso Di Stefano. Era un traguardo la finale contro il Real mica contro quel Benfica battuto l’anno prima dal Milan. Il Real è la storia del calcio assieme al Santos di Pelè. Ma il Santos è scomparso il Real c’è ancora e se prende Mou è destinato a scriverne ancora di storia. Finì 3 a 1 e i più meravigliati non fummo noi interisti ma i madridisti: mai pensavano di perdere la “loro” coppa. Ero a San Siro l’anno dopo e all’autogrill Pavesi, quello che attraversa, sormontandola, l’autostrada, con Pino e Luisa pensavamo alla goleada. Venivamo dal 3 a 0 al Liverpool, ribattezzato dal settimanale di Brunetto Slawitz, LIVERPOLLI. Non potevamo perdere, per di più in casa. Finì 1 a 0 sotto il diluvio.

Non vidi, non si poteva vedere, il pallone viscido di Jair passare sotto la pancia di Costa Pereira. Lo capii dall’urlo della curva dietro il portiere lusitano. Ero a Lisbona, al Nacional, convinto della terza coppa specie dopo il rigore di Mazzola. Poi il dramma della sconfitta, dramma che sarebbe diventato tragedia qualche giorno dopo a Mantova quando il mio amico e corregionale ed ex interista Beniamino Di Giacomo fece vincere l’Ozo Mantova e regalammo lo scudetto all’ultima giornata alla Juventus. In quei momenti si può pensare al suicidio, avere le motivazioni giuste per farlo. Ero su di un traghetto tra Napoli e Palermo per la finale contro i campioni d‘ Europa dell’Ajax: andavo a sposarmi a Palermo. Avevo paura di Neeskens e Cruyff ma era la finale della famosa lattina e Bordon parava tutto. Era l’Inter di Invernizzi, l’Inter della grande rimonta sul Milan dell’anno prima (li avevamo già rimontati nel ’65 quando Gipo Viani coniò il soprannome per Altafini, "coniglio"). Quella volta Bordon non parò Cruyff. Per fortuna l’Ajax l’anno dopo battè anche la Juve.

Non sarò a Madrid, per scaramanzia, per l’età, per l’HD, perché c’è la nube. La vedrò in casa, da solo e con 5 televisori accesi. Uno sulla parabola, uno su Rai Uno, uno sulla multivision e due per derivazione satellitare. Cenerò veloce nell’intervallo, arriverò a sabato con la barba lunga, uscirò il mattino per comprare giornali e sigarette, giocare al superenalotto e al Win for life. Fu così anche con Chelsea e Barcellona. Non ne vado fiero ma sarà così. Solo due volte la finale è stata giocata il 22 maggio: in entrambe le occasioni erano presenti squadre italiane e vinsero. Il Milan nel ’63 battè il Benfica 2 a 1, poi la Juventus nel ’96 a Roma ce la fece solo ai rigori sull’Ajax. A Madrid sabato si giocano due partite: quella dell’allenatore l’abbiamo già persa. Mourinho mi piace ma se se ne va vorrei che qualche collega gli facesse questa domanda, se lascia l’Inter per il coraggio di una nuova, grande sfida o se molla per paura di non riuscire a ripetersi. Di quella sul campo ne parleremo la prossima volta.

Sezione: Editoriale / Data: Mer 19 maggio 2010 alle 13:45
Autore: Massimo Carboni
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