Zlatan Ibrahimovic d’ora in avanti vestirà la maglia del Milan. Ma non per questo noi tifosi nerazzurri sputeremo addosso a quanto lui ha fatto per i nostri colori nei tre anni di permanenza, tra alti (molti) e bassi (qualcuno). Ibra ci ha regalato tanto calcisticamente, non solo giocate individuali, ma anche tre scudetti, su cui ha messo la sua lunghissima firma. Anche l’Inter gli ha dato tanto, inutile negarlo, afascinata dal giorno in cui venne presentato alla stampa come nuovo acquisto interista, quando esordì dicendo: “Da piccolo tifavo per l'Inter. Sono arrivato in una squadra molto forte, il mio futuro è qua”. Parole dolorose per il popolo juventino che lo aveva battezzato nel calcio italiano e ancora si leccava le ferite del post Calciopoli, parole da interista per il Genio di Malmoe, che soddisfò nei suoi anni nerazzurri il palato dei calciofili più esigenti. Salvo fallire sistematicamente l’assalto alla Champions, torneo in cui da sempre lo svedese scende da Marte e torna a essere uno dei tanti. L’Inter gli ha dato tanto in termini di visibilità, Moratti gli ha riempito le tasche anno dopo anno.
Nulla di strano, il presidente ama questi calciatori dal talento oltre i limiti e dal narcisismo più raffinato. E poi, Moratti può comunque essere grato a Ibra per avergli fatto mettere a segno il colpo migliore della sua presidenza: lo scambio con Eto’o, accompagnato da 50 milioni provenienti dalla Catalogna, sufficienti a ricostituire la Grande Inter. Da un anno Ibra è un ricordo, un fantasma materializzatosi solo in Champions, ma mai capace di intimorire la banda di Mourinho, che senza Ibracadabra è riuscito a creare un’Inter a sua immagine e somiglianza, senza prime donne e con una compattezza meravigliosa. Oggi Ibrahimovic torna in Italia, sponda rossonera, con la coda tra le gambe dopo il fallimento catalano. Lui dice di voler vincere scudetto e Champions, di essere felice della nuova avventura, di non pensare al passato (le stesse cose pronunciate il giorno della sua presentazione al Barcellona), bla bla bla…
Non dovremmo sorprenderci, non è la prima volta che l’attaccante sposa con entusiasmo una nuova causa, lui dopotutto è un autentico zingaro del pallone, che non si affeziona a nulla tranne che al proprio talento. Peccato solo che, stavolta, i colori siano quelli sbagliati. Provo inoltre un sottile piacere nello scrutare l’infinita gioia di Galliani, che dopo aver concluso questa estenuante operazione (riscattando il fallimento di quattro anni fa), è tornato in patria come se avesse trovato la soluzione a tutti i mali rossoneri. Inoltre, non nutro il minimo dubbio sul fatto che l’a.d. di via Turati stia godendo nell’aver reso un Diavolo un’ex stella nerazzurra, a suo tempo amatisimo dai tifosi. Fossi in lui, prima di esaltarmi, farei un passo indietro: le ultime esperienze, (Vieri e Ronaldo) sono state miseri fallimenti, più roboanti degli sgarbi a monte.
Di certo Ibra farà grandi cose, regalerà gol, assist, giocate sopraffine, vincerà le partite da solo, perché da anni è quello che gli riesce meglio. Poi, in virtù di una tradizione ormai consolidata, proverà a conquistare il suo ottavo scudetto consecutivo sul campo, con la quinta maglia diversa addosso. Ma le tradizioni possono interrompersi in qualsiasi momento, soprattutto quando non giochi nella squadra più forte. Quindi, caro Ibrahimovic, ben tornato, in bocca al lupo, ma non illuderti: da quando te ne sei andato, l’Inter è la tua maledizione. E, come dice Gianluca Rossi, batterti con quella maglia addosso sarà ancora più piacevole.
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