La sua esperienza all’Inter è stata segnata dalla malattia della figlia Angelina, per seguire la quale è rimasto lontano dal club nerazzurro. Sono passati nove anni, e oggi Nicolas Burdisso racconta a La Tribù del Calcio questa sua drammatica esperienza: “Ero in Italia da 5-6 mesi, non potevo affrontare una malattia terribile come questa in Italia, non ero pronto anche perché non parlavo la lingua. Per sei-otto mesi siamo stati in ospedale per le terapie, bisognava stare con la testa lì. Ho conosciuto un mondo lì, dove magari nessuno vuole mai entrare; fatto di gente che soffre e lotta. E lì capisci i veri valori della vita. E’ finita bene e ne posso parlare, ma a volte non succede”.

Burdisso non può non citare l’ex presidente Massimo Moratti, che gli ha permesso di allontanarsi dal club per stare vicino alla piccola: “Moratti si è comportato come sanno tutti, come una persona dal cuore grande qual è; è stato quasi come un padre. Lui mi ha dato la possibilità di scegliere, io gli avevo chiesto di rescindere il contratto. C’è gente che non può scegliere, che deve portare il pane a casa: lui mi ha dato questa opportunità, ma altri non possono e sono questi che vanno aiutati”. Sul suo passato all’Inter ricorda un momento particolare: “Lo scudetto 2007 vinto a Siena; non perché non ci tenevamo a quello assegnato a tavolino, ma dopo tanti anni di sofferenza, dopo Calciopoli, era bellissimo festeggiare un titolo sul campo”. Burdisso è stato l’ultimo a portare la numero 3, quella di Giacinto Facchetti: “Me ne hanno parlato tanto in Argentina, era un simbolo per tutto il mondo. Lui mi chiamava sempre quando ero con mia figlia in Argentina, mi telefonava per sapere come stava Angelina. Indossare quella maglia è stato un orgoglio". La differenza tra Milano e Roma? "A Milano l'interista è storicamente portato all'idea di soffrire, anche quando le cose vanno bene; ha bisogno di sentire che qualcosa non va bene. Gli interisti si trovano dappertutto, a sud come a nord; sono meravigliosi, ti fanno sentire quanto è importante la squadra. Il romanista è come il tifoso del Boca, vive per la squadra sette giorni su sette e a volte la partita è la cosa meno importante".  

Quando deve indicare il compagno più forte mai avuto, Burdisso non ha dubbi: "Adriano, mi faceva davvero paura in allenamento. Era qualcosa di straordinario, il primo Adriano metteva una paura che nessun altro attaccante mi ha fatto provare. Ricordo ancora il gol all'Udinese dopo una cavalcata straordinaria, nato da un mio rimpallo". 

Sezione: Ex nerazzurri / Data: Ven 03 ottobre 2014 alle 23:51
Autore: Redazione FcInterNews.it
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