"Life is what happens to you while you're busy making other plans" cantava John Lennon nel 1981. Un aforisma con cui, prima o dopo, ciascuno di noi ha dovuto fare i conti nel corso della sua esistenza. E' successo anche a Christian Eriksen, sabato scorso, quando è stato colto da un malore improvviso al 43' di Finlandia-Danimarca. Davanti alla sua gente, nel match d'esordio a Euro 2020 della sua Nazionale, mentre i suoi pensieri erano unicamente rivolti alla vittoria. Poi, di colpo, la luce si è spenta. Il tempo si è fermato non per la sua solita giocata visionaria, ma per annunciare qualcosa di tremendamente serio tanto da tenere tutti in apprensione. Minuti interminabili fatti di volti umani scioccati in tribuna e di comportamenti esemplari in campo nell'affrontare un momento così altamente drammatico. Da Simon Kjaer, provvidenziale nell'eseguire le manovre di primo soccorso, fino ai medici che hanno letteralmente strappato dalle braccia della morte il numero 10. Su cui per una mezzora si sono posati gli occhi di tutto il mondo, sguardi che si sono fermati dinnanzi alla muraglia eretta dai suoi compagni attorno a lui per proteggerne la privacy. Un'immagine potentissima quel capannello di ragazzi in maglia biancorossa, ciascuno con la sua emotività di fronte a quell'evento ("Non è stato divertente, ma lo abbiamo fatto sia per Christian, i nostri medici che lo hanno curato, sia per gli amici e la sua famiglia", dirà poi Delaney). La rappresentazione fotografica di ciò che stava succedendo anche nelle case di milioni di persone davanti alla tv, alla ricerca di un segnale di speranza senza sbirciare dalla serratura. Quello che è effettivamente arrivato attorno alle 19.20, condensato nello scatto del fotografo Friedemann Vogel, che ha ritratto il giocatore dell'Inter sulla barella, con gli occhi aperti e la mano sulla testa. Un sospiro di sollievo lunghissimo, durato fino alla tanto attesa comunicazione ufficiale della Federcalcio danese: "Christian Eriksen è sveglio e sta svolgendo ulteriori esami al Rigshospitalet". 

E' in questa struttura, a 5' dallo stadio Parken, che l'ex Tottenham è ricoverato da cinque giorni. Da lì, martedì mattina, attorno alle 9 italiane, ha fatto sorgere l'alba quando ha rassicurato tutti sulle sue condizioni di salute dal letto di ospedale: "Ciao a tutti, grazie davvero per tutti i dolci e bellissimi messaggi da tutto il mondo. Significa molto per me e la mia famiglia. Sto bene, considerate le circostanze. Devo ancora passare attraverso degli esami all'ospedale, ma mi sento bene. Adesso voglio tifare per i ragazzi della Danimarca nei prossimi match. Saluti. Christian", il messaggio scritto sui social dal ragazzo di Middelfart. Che mai si sarebbe aspettato di vedere la selezione di cui è il leader tecnico indiscusso sfidare il Belgio del suo amico Romelu Lukaku nelle vesti di spettatore. Ma questa è la vita, tutto ciò che succede mentre sei impegnato a pianificare altro. La vita non chiede il permesso per entrare nella quotidianità delle persone e riscriverne le priorità dal giorno alla notte. Guardando alle cose in quest'ottica, le parole rilasciate martedì dal ct danese Kasper Hjulmand provocano sentimenti contrastanti, di rimpianto e consolazione allo stesso tempo per quello che poteva essere e non è stato: "Avevo previsto per Christian un ruolo diverso contro il Belgio rispetto al solito, gliene parlo da un mese", la curiosa nota tattica del selezionatore in sala stampa, nei giorni in cui la gestione del gruppo è stata affidata anche alle competenze di 4 psicologi. Ferite da rimarginare provocate da quel destino che sembrava scritto e invece si è dovuto arrendere al cospetto di un uomo insostituibile. Più dell'Eriksen giocatore, il Christian padre, marito, figlio e amico. Un ruolo diverso, appunto. Non quello che aveva pensato il ct danese, ma il migliore possibile, date le circostanze, per l'uomo che visse due volte. 

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Sezione: Editoriale / Data: Gio 17 giugno 2021 alle 00:00
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
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