Se i traguardi invernali valgono fino a un certo punto, l'Inter decide di fare un passo, sofferto ma fortemente voluto, che porta a una frenata che offre alla Juve la possibilità del sorpasso. Ma più della classifica, in questo momento conta il confronto contro la squadra che in assoluto gioca il calcio migliore in Italia, che viaggia a una velocità inarrivabile per la maggior parte della altre squadre e che non smette mai, in nessun momento della gara, di fare gioco, passarsi il pallone e cercare la via del gol con un'intensità, una sicurezza e una personalità che possono mandare molti in confusione (e costretto alcuni, nelle settimane precedenti, alla figuraccia).

L'Inter fa benissimo la prima mezz'ora per poi calare e offrire un pareggio meritato all'Atalanta che senza troppi dubbi, tra le due, è stata quella che la vittoria l'ha vista più da vicino. Ma è stata partita vera, gagliarda, combattuta, mai facile e mai banale. E senza un attimo, o quasi, di tregua.

La miglior difesa del campionato veste un abito inedito per affrontare il miglior attacco della Serie A: vista la squalifica di Skriniar, infatti, tocca a Godin-De Vrij-Bastoni affrontare il terribile tridente bergamasco che con Gomez e Ilicic ritrova Zapata. Ma a proposito di ritorni, Antonio Conte ripesca a centrocampo, con Brozovic e Gagliardini nel ruolo di vice-Barella (altro squalificato), un Sensi che nel ruolo di titolare mancava dal 6 ottobre quando l'occasione era la super sfida con la Juve. 

A San Siro si sfidano le ambizioni, la voglia di dare ritmo, di correre, di osare e rischiare. Perché questo fanno, per natura, l'Inter e l'Atalanta. Ma non c'è nemmeno il tempo di dirlo, o di pensarlo, che questa sarà una partita a ritmi folli. Perché non passano nemmeno 20 secondi che Lukaku, con quattro uomini addosso, scheggia il palo (anche se poi il gioco era stato fermato). E la lancetta dei minuti non ha girato nemmeno quattro volte che Lautaro trova il vantaggio su un'azione iniziata da Sensi e sublimata dal solito scambio con Lukaku che permette al Toro di bruciare Toloi e battere Gollini dopo un dai e vai che è marchio di fabbrica della coppia d'attacco nerazzurra.

Poi l'Inter sceglie di aspettare l'Atalanta e lo fa a lungo in modo ordinato e compatto. La necessità di non concedere campo alla Dea per le sue ripartenze velenose, infatti, prevale sull'istinto e la capacità di pressare in maniera furente. Tanti palloni recuperati per un attimo poi persi da entrambe le parti, duelli intensi, rimpalli, anticipi e chiusure: chi si ferma, o si distrae, è perduto perché l'attenzione è massima e il margine di errore minimo per due squadre che viaggiano veloce e che, se glielo consenti, arrivano in area in un amen. Per questo la pressione interista è meno alta e vistosa rispetto, ad esempio, a quanto visto a Napoli: perché l'esigenza primaria è impedire a Gomez e Ilicic di guidare ripartenze a tutta velocità.

L'Atalanta cerca costantemente il fraseggio e l'attacco con tanti giocatori ma questo l'Inter lo sa controllare bene. Il rischio maggiore, infatti, gli uomini di Conte lo corrono al minuto 40 sugli sviluppi di una punizione: Toloi di testa anticipa tutti e impegna Handanovic e il conseguente tap-in viene impedito dall'intervento di Bastoni ma anche da una trattenuta di Lautaro che però il Var non giudica punibile. Anche l'Inter va alla ricerca di un fraseggio veloce capace di portare i suoi giocatori in area in tempi rapidi: le uscite di Borzovic, Gaglairdini e Sensi cercano spesso l'appoggio sul fisicone di Lukaku che di palloni ne sbaglia pochi e ne protegge un'infinità. A Sensi soprattutto manca un paio di volte l'ultimo passaggio giusto al limite dell'area e i due attaccanti sono continuamente pronti alla guerra e all'aggressione al limite dell'avversario.

Nella ripresa però, come da copione stagionale, l'Inter inizia a sbagliare speso le uscite e ad abbassarsi. Al contrario, la Dea lievita. A inizio secondo tempo Malinovskyi, imbeccato da un Gomez difficile da contenere, viene fermato solo dal palo mentre i bergamaschi, all'opposto dei padroni di casa, alzano ritmo e gestione della palla. Cambi di gioco, inserimenti dei centrocampisti, fraseggi continui, avanzate impetuose: la squadra di Gasperini merita così il pareggio trovato al 75' da Gosens che con una zampata in area anticipa Candreva e gela Handanovic. Gomez e Ilicic che si allargano sono ogni volta sono un potenziale pericolo per un'Inter che fatica a trovare i suoi attaccanti e di conseguenza a tenere gli avversari lontani dalla propria area. Lukaku e Lautaro, sostituito con Politano, non riescono più a venire incontro e offrono meno occasioni e possibilità di appoggio ai compagni. Ma più che un demerito dell'Inter è un merito di un'infaticabile Atalanta che cerca ogni volta la velocità e la verticalizzazione. E che va a un passo dalla vittoria quando il contatto Bastoni-Malinovskyi in area manda Muriel sul dischetto per quella che sembra una sentenza: ma lo scatto di Handanovic salva l'Inter che poi nei minuti finali ritrova energie per cercare il colpaccio con Brozovic e Borja Valero.

L'Inter sostanzialmente regge l'urto ma si dimostra fragile e incapace di uscire alla distanza contro una squadra che invece è cresciuta non ha mai visto spegnarsi la luce. Contro le grandi squadre, che giocano forte e a memoria, dura molto meno di 90' e nei secondi tempi è spesso una copia sbiadita di se stessa, incapace di darsi continuità e trovare soluzioni ai propri cali. Merito, stavolta, di un'Atalanta che ogni anno si migliora e non smette di stupire: nel gioco, nel rendimento e nei risultati. Contro la Roma a San Siro era arrivato un pareggio amaro, per valore dell'avversario e occasioni create. Per lo stesso motivo, il pari con i bergamaschi è un punto guadagnato. E la stagione entra nel vivo adesso. Guai a fermarsi.

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Sezione: Editoriale / Data: Dom 12 gennaio 2020 alle 00:00
Autore: Giulia Bassi / Twitter: @giulay85
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