Da qualche giorno è ufficialmente iniziata la stagione 2015/16. I risultati parlano chiaro: l’ultimo assalto all’Europa league è andato male, in una gara paradossalmente giocata e interpretata bene. Il quarto fallimento consecutivo dal 2010 ha tanti padri. Perciò Roberto Mancini ha fatto la cosa che sa fare meglio, non piangersi addosso, spostando l’attenzione della sconfitta, dando in pasto alla stampa una dichiarazione netta sugli oriundi e iniziando a costruire l’Inter di cui sarà interamente responsabile. 

Sul versante della progettazione ho un margine di fiducia più ampio rispetto alle ultime tragiche annate e lo devo soprattutto a una dirigenza più consapevole e ad un allenatore ambizioso contro ogni logica. Si spiega come una politica precisa, in accordo col presidente, quella di indicare grandi progetti di posizioni Champions irraggiungibili e, l’anno prossimo, una lotta per lo scudetto che appare quantomeno improbabile. Una politica effettistica per non spegnere la poca legna rimasta sotto il nome dell’Inter nel mondo. Una politica che non può prevedere una linea verde.

I nomi ufficiali della nuova squadra (Murillo), quelli ufficiosi (Toulalan) e la lunghissima lista di giocatori avvicinati all’Inter (Y. Touré, Ayew, il cinese Zhang, Richards, Dragovic, Gignac, Romero, Perin o Pepe Reina) non fanno tremare i polsi anche se, nell’ideazione di un collettivo, vanno tenuti in considerazione l’equilibrio e il temperamento. La logica vorrebbe che la difesa venisse rivoluzionata, il centrocampo sistemato e l’attacco aumentato di numero, anche se in una stagione senza coppe.

Per questo mi chiedo che intenzioni abbia Mancini verso Guarin, Handanovic, Hernanes, Icardi, Palacio e Kovacic. Non capisco da tempo la corrente dei tifosi che contesta il portiere, forse sprovvisto di una personalità intrigante, ma armato di un rassicurante bagaglio tecnico, anche se non da primi cinque al mondo. Uno come lui dovrebbe comunque essere considerato un punto fermo e invece le brutte stagioni hanno travolto ogni senso dell’equilibrio. 

Icardi è senza dubbio un grande attaccante. Non c’è bisogno di ricordare che ha 22 anni  e, pur in un'Inter tanto malridotta, è vice capocannoniere. Eppure anche lui è stato contestato. Per l’atteggiamento… Non ho dubbi che Hernanes sia un giocatore migliore di quello che abbiamo visto in nerazzurro ma la collocazione tattica e altri problemi di sua pertinenza ne hanno mortificato le prestazioni. È un cedibile. Palacio al contrario, se riuscirà a guarire dall’infortunio che lo ha depotenziato tutta la stagione, è un attaccante ancora prezioso. L’età avanza ma dispone di un fisico leggero, più facile da gestire. Guarin è stato restituito al calcio con l’arrivo di Mancini, ancora incostante, talvolta velleitario, ma più solido del recente passato. Non è più nemmeno un centrocampista che può avere un grande mercato considerando l’età. Va tenuto.

E ora la spinosa questione Kovacic. Da sempre sono un suo estimatore ma questo non mi impedisce di vedere il suo impressionante calo di rendimento. Di fatto non è e non può essere ancora un creatore di gioco nella misura in cui lo vorremmo. Mostra un talento visibile a occhio nudo ma del tutto privo di sfacciataggine. Ha numeri che dà la sensazione di tirar fuori dal cilindro ma che più facilmente restano incartati, preferendo ripiegare sul passaggio in orizzontale e fungendo da cucitore di un gioco prevedibile. Credo che Kovacic sia un giocatore che vedremo lontano dall’Inter, l’ennesimo talento che si affermerà lontano da San Siro, ma lo dico senza polemica.

 È un dato di fatto che all’Inter c’è un atmosfera difficilmente contornabile che da anni non riesce a far crescere giovani modulando il loro reale valore. Il paradosso di una società che acquista anche giocatori romantici, dotati di talento, e incapace di capire come farli sbocciare. Forse è giusto che Kovacic vada altrove, in un grande club straniero, a capire quanto vale e come crescere per diventare l’ottimo giocatore che è. All’Inter c’è un ambiente deluso che ha bisogno di risposte immediate perché se un giovane, pur bravo, resta indietro, non lo aspetta nessuno. Qui la gente guarda solo quanti gol fa, quanto incide, quanto vale il suo cartellino, e dimostra che in Italia continuiamo a non sapere come far crescere i giovani e come interpretare il rendimento altalenante di un ventenne. Un po’ come una coppia che vuole a tutti i costi un figlio e, quando lo fa, non sa come educarlo, non lo capisce. Ad oggi Kovacic è più una metafora, nessuno sa quanto vale veramente, non lo sa più nemmeno lui. 

Per lo stesso motivo non credo sia l’ambiente adatto per prendere e lanciare in blocco i giovani under 21 nerazzurri come Bardi, Biraghi, Crisetig, Benassi e Longo. Santon, ad esempio, è tornato dopo la lunga esperienza al Newcastle con maggiore consapevolezza e spalle più larghe per reggere l’urto di San Siro. La singolarità di questo momento storico sta nel fatto che è troppo tardi per iniziare un progetto dei giovani, che avrebbe potuto incoraggiare più e meglio tra il 2010 e il 2014, perché Thohir ha bisogno di esportare un'Inter più sexy per il marketing e il merchandising, Ed è troppo presto perché questa linea è appena iniziata, e per lanciare definitivamente un'Inter “verde” bisogna che tutto fallisca. Per questo, solo per questo, mi auguro di non vedere mai una giovane Inter.

Sezione: Editoriale / Data: Dom 29 marzo 2015 alle 00:00
Autore: Lapo De Carlo
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