Come volevasi dimostrare. Non potendo fare la rivoluzione, a causa di un mercato che avrà anche allungato la rosa ma aggiungendo giocatori con caratteristiche simili ai titolari, Cristian Chivu ha ritenuto saggio proseguire sul solco del lavoro egregio portato avanti all'Inter da Simone Inzaghi nell’ultimo quadriennio. "Non sono scemo" disse il tecnico romeno parafrasando il suo mentore, José Mourinho, per rispondere alla domanda tattica fatta dall’ex compagno di squadra, Goran Pandev, a margine del 2-0 imposto dai nerazzurri all’Ajax nel match d’esordio in Champions League. Un concetto già espresso in precedenza, dopo l’inciampo più rumoroso della sua gestione, quello in casa contro l’Udinese. "Io non ho parlato di difettucci, ma di certezze. La squadra sa fare determinate cose. Poi ho detto che dobbiamo togliere qualcosina che non mi era piaciuta. Devo essere coerente, anche avere l'intelligenza per capire cosa la squadra può fare. Non vogliamo perdere le certezze. Non sono qua per stravolgere, anche perché è impossibile farlo. La squadra è sempre stata ai vertici del calcio italiano ed europeo in questi anni, bisogna solo aggiungere qualcosina per far rendere questa squadra”, il Chivu-pensiero, alla vigilia del derby d’Italia con la Juve. La partita dopo la quale sono partiti i primi processi alla squadra e alla sua guida tecnica, finiti sul banco degli imputati per la giocata di un singolo, Vasilije Adzic, agevolata dall’errore di un altro singolo, Yann Sommer, nei secondi finali di una partita pazza. Era tutto sbagliato la sera del 13 settembre scorso, complice un 4-3 subito dalla Juve nella maniera più dolorosa possibile. Mentre il mondo nerazzurro cadeva a pezzi, secondo il racconto della stampa, Chivu parlava della prestazione positiva dei suoi ragazzi, sottolineando al tempo stesso il vero problema da risolvere: la lettura dei momenti. "Ci è mancata la gestione degli ultimi dieci minuti. Dobbiamo imparare dalle sconfitte e capire che in certi momenti dobbiamo fare cose diverse rispetto a ciò che siamo abituati a fare, senza perdere le certezze: questa squadra sa fare molte cose, deve migliorare nella gestione". E’ qui il punto: l’Inter sa giocare in un solo modo, nel bene e nel male. Dopo i due ko di fila in campionato, la Champions League ha ridato respiro al gruppo che, ad Amsterdam, ha rischiato di prolungare il suo momento no prendendo un’infilata dalla sua trequarti (l’aggressività non fatta bene che mal si concilia con l’equilibrio). Solo l’intervento solido del tanto bistrattato Yann Sommer ha evitato che le cose si complicassero. Archiviata la sfida di Coppa, l’Inter ha scacciato i fantasmi sassolesi non senza fatica ma meritando nel complesso, per poi andare a Cagliari a spadroneggiare come ai vecchi tempi. Ma anche in queste serate non sono mancati i periodi di blackout, che arrivano quasi sempre puntuali dopo la caterva di gol mangiati: contro i neroverdi il 2-1 di Walid Cheddira ha generato una sofferenza minima, mentre all’Unipol Domus il palo colto sull’1-0 di Michael Folorunsho, dagli sviluppi di un corner, sarebbe stata una beffa troppo grande da accettare per la mole di gioco prodotta. Eppure è un fatto che non può essere ignorato, come sottolineato in maniera sacrosanta dopo la gara da Alessandro Bastoni: "Sicuramente stasera gli episodi ci hanno dato una mano perché se il colpo di testa fosse entrato, avremmo parlato di un'altra partita”. Ecco, questo è il modo giusto di leggere le cose. Magari bisognerebbe trovare un altro termine per definire quelli che, nel calcio, comunemente accettiamo come 'episodi' quando, invece, arrivano a conferma di una tendenza dentro la partita. In tal senso, sarebbe intelligente levare dal vocabolario la parola 'dominio' perché nel calcio ha poco senso, vista la natura particolare di questo sport. Così come sarebbe meglio evitare i proclami, a meno che non si abbia la giusta maturità per farsi scivolare di dosso le critiche: "A ogni passo falso la gente è pronta ad attaccarci. Scudetto? Noi ci esponiamo, non so se facciamo bene o male, perché abbiamo grande fiducia in noi stessi”, le parole di Bastoni. Che spiega bene che la pietra di paragone non può essere l’Inter di Inzaghi ma l’Inter dei giocatori. E’ il gruppo che vuole dimostrare di essere forte e capace di rivincere anche senza il suo demiurgo, una leva che Cristian Chivu deve usare a suo favore senza rinnegare il passato.

Sezione: Editoriale / Data: Gio 02 ottobre 2025 alle 00:00
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
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