Poco più di cinque mesi. A Cristian Chivu è bastato questo breve periodo di tempo per mettere a tacere gli scettici e conquistare l'Inter. Era infatti il 9 giugno quando il club nerazzurro annunciava l'arrivo in panchina del nativo di Reșița, chiamato a prendere la pesante eredità di Simone Inzaghi e il controllo di una squadra che circa una settimana prima aveva incassato la pesante cinquina del Paris Saint-Germain in finale di Champions League. Una missione tutt'altro che semplice, specie per un allenatore che nel CV aveva appena 13 panchine in Serie A e delle esperienze nel settore giovanile nerazzurro. Eppure Cristian non si è spaventato, ha indossato il caschetto (stavolta, per fortuna, solo metaforicamente) e si è tuffato nella nuova, stimolante e coraggiosa avventura alla guida del Biscione

In primis, in questi primi mesi nerazzurri Chivu si è dimostrato più che esperto nel ruolo di comunicatore. Dove non sbaglia un colpo. Le dichiarazioni del romeno non sono mai da zero e zero, evitano la ricerca di scuse o polemiche (l'ultimo esempio recente nel botta e risposta post Maradona con Antonio Conte) legati a risultati o decisioni arbitrali e, soprattutto, argomentano, non sono mai banali e insegnano sempre qualcosa.

La virtù dell'Ars Dialectica è tornata utile a Chivu anche quando ha dovuto indossare le vesti del gestore di uno spogliatoio ricco di personalità forti come quello interista. Impossibile, in questo senso, non ricordare quella passata alla cronache come la 'Crisi di Charlotte' quando, poco dopo l'eliminazione dell'Inter dal Mondiale per Club negli Stati Uniti per mano del Fluminense, Lautaro Martinez pronunciò pesanti parole da leader che poi crearono una crepa con Hakan Calhanoglu e, di riflesso, anche con Marcus Thuram per un evitabile like dato in pasto ai social. Chivu non ha perso tempo e, all'indomani del ko con i brasiliani, ha preteso una riunione chiarificatrice in hotel con la parte di rosa presente negli USA (il turco era assente per infortunio), mediando la 'pace' con intelligenza e riportando tutti sul pezzo, a partire proprio dal regista che ora sembra essere tornato al miglior livello. 

Comunicatore e gestore, ma anche - ovviamente - allenatore. Con princìpi tattici precisi che pian piano stanno contribuendo a plasmare la sua creatura: pressing alto, riaggressione e verticalità sono i tre capisaldi del calcio di Chivu, lucido nel rinunciare al cambio di modulo (che, chissà, magari arriverà più avanti nel tempo...) e a puntare sul ferreo 3-5-2 introdotto con Conte e proseguito con Inzaghi, ammodernandolo e rendendolo ancor più 'europeo'. A questo si aggiunge la gestione della rosa che finora è stata eccellente: rotazioni dei pezzi da novanta, rilancio di riserve all'altezza, inserimento graduale dei giovani e dei nuovi e poco spazio per chi non viene considerato ancora pronto. Zero gerarchie, ma tanta meritocrazia. È ancora presto e c'è ancora tanto da fare e da lavorare, ma per ora l'Inter è prima in campionato e prima (a punteggio pieno) in Champions League. Chi l'avrebbe detto poco più di cinque mesi fa? Ci son state soste peggiori. 

Sezione: Editoriale / Data: Mer 12 novembre 2025 alle 00:00
Autore: Stefano Bertocchi / Twitter: @stebertz8
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