Si è chiusa martedì sera l’ennesima finestra internazionale FIFA che, ultimamente, fa sentire il calcio italiano inadeguato a certi palcoscenici. La terza di fila in otto anni in cui la Nazionale azzurra viene condannata alle forche caudine dei playoff per accedere ai Mondiali. Fallita la missione con Gian Piero Ventura prima e Roberto Mancini poi, con l’aggravante dell'eliminazione per mano della Macedonia del Nord con la corona di campione d’Europa ancora sulla testa, gli azzurri guidati da Gennaro Gattuso conosceranno il loro destino oggi, a Zurigo, sede dei sorteggi da cui usciranno gli incroci per determinare le ultime otto partecipanti al torneo che andrà in scena nell’estate 2026.

Una competizione extra large, ampliata per volere di Gianni Infantino, che per motivi più politici che tecnici ha aperto le porte anche a Paesi che sulla mappa del calcio si iscriveranno proprio grazie a questa rassegna. Da qui nasce la polemica del nostro commissario tecnico che, sbagliando il bersaglio, ha fatto notare che il format delle qualificazioni non è poi così meritocratico e finisce per penalizzare proprio le europee, dalla notte dei tempi il centro di gravità del football di club e non solo. Senza passare per eurocentrici, in effetti, dal passaggio dalle 32 squadre partecipanti alle 48 di USA, Messico e Canada il Vecchio Continente ci ha guadagnato poco o nulla a discapito di quelle selezioni che sono molto in basso nel ranking FIFA e che hanno strappato il pass spareggiando con quelle di pari livello della propria confederazione. Il format va certamente rivisto, ma - visto l’epilogo - quantomeno impone al nostro movimento un ragionamento a 360° sullo stato di salute del nostro calcio. L’alibi del girone difficile da passare da primi della classe per colpa del calendario poteva reggere la sera del 6 giugno, quando la squadra all’epoca guidata da Luciano Spalletti affondò a Oslo sotto i colpo di una Norvegia che più di qualche analista aveva sottostimato con quella supponenza che risulta anacronistica alla luce della storia recente della nostra nazionale.

A mesi di distanza, Gianluigi Buffon, capodelegazione azzurro, ha sottolineato che per l’Italia fosse il momento peggiore della stagione per affrontare l’avversaria più temibile del raggruppamento, per giunta in trasferta. Ma lo ha fatto con troppa leggerezza, senza pesare le parole, pur avendo l’intento sincero di difendere il gruppo dalle critiche: "Avevamo cinque giocatori (dell'Inter, ndr) che venivano da cinque sveglie prese tre giorni prima in una finale di Champions, poi 2-3 assenti... Abbiamo perso in modo rovinoso, però avevamo poche armi quella sera. C'è stata un po' di sfortuna", le parole dell’ex portierone della Juve. Che, come tutti gli altri milioni di concittadini, non poteva sapere il modo in cui Donnarumma e compagni avrebbero chiuso il 2025. Dopo il 2-0 faticoso in Moldavia, ottenuto nei minuti finali, è arrivata la seconda scoppola contro gli scandinavi, giunti a San Siro per difendere nove gol di vantaggio nella differenza reti. Un pensiero conservativo, molto italico, che è durato giusto un tempo, i minuti dell’illusione di potercela giocare con Erling Haaland e compagni. Già, quell’Haaland che alla vigilia aveva avuto, secondo alcuni tifosi e giornalisti, l’arroganza di dire di non conoscere Francesco Pio Esposito, nuova leva della selezione maggiore che per ora è famoso solo a certe latitudini. Quelle in cui vive da troppo tempo il nostro provincialismo, fatto di esaltazioni ingiustificate per le gesta di giovani calciatori che devono ancora dimostrare tutto e di risentimenti puerili verso chi ha già fatto la storia a 25 anni. Quindi è inutile affannarsi a scrivere o a urlare che Haaland ora conosce il 20enne centravanti dell’Inter solo perché ha segnato un gol inutile alla Norvegia, sarebbe meglio concentrarsi sul fatto che la Nazionale italiana rischia di restare nell’anonimato per il ventesimo anno di fila a livello mondiale dopo aver toccato il cielo azzurro di Berlino con un dito nel 2006. Bisogna allargare il punto di vista a tutti i livelli: dai vertici federali, ai media, passando per i tifosi e i club. Basta guardare solo al proprio orticello. 

Sezione: Editoriale / Data: Gio 20 novembre 2025 alle 00:00
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
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