Dopo 'aver perso di vista la realtà' in un girone di Champions League in cui alla vigilia si metteva in discussione la forza del Real Madrid, Antonio Conte ha oscurato la Juve, 'punto di riferimento' della Serie A, in virtù del 2-0 con cui la sua Inter ha polverizzato per una sera il divario di nove scudetti a zero maturato dal 2012. In campo, come dimostrato anche in Europa, non ci va mai la storia, semmai la somma di esperienze e fiducia che si costruiscono o distruggono negli anni. Per questo motivo, l'ultima versione non così galactica dei blancos, nonostante il curriculum del club che vanta 13 Coppe Campioni in bacheca, è riuscita a vidimare il pass per gli ottavi di finale solo all'ultima giornata, battendo il Gladbach e scongiurando la prima eliminazione in quella fase della competizione. Al contrario dell'Inter, uscita sciaguratamente di scena per non aver segnato un gol al modesto Shakhtar che – sulla carta – avrebbe dovuto capitolare per manifesta inferiorità. Niente di tutto questo: la storia dei favoriti deve valere sempre, non a uso e consumo per giustificare un determinato risultato. Nascondendosi dietro la squadra pluridecorata di Zinedine Zidane, il tecnico leccese ha complicato la qualificazione ancor prima di scendere in campo, ingigantendo le insidie oggettive proposte da un raggruppamento già di per sé competitivo. Riempiendo di meriti gli avversari, ha perso il focus sul proprio gruppo, fermando di colpo il processo di crescita iniziato egregiamente dal suo insediamento. Il dazio da pagare è stato altissimo: l'esilio dall'Europa, definito da Conte stesso 'un neo che ci porteremo sempre dietro'. E' da quella delusione vera, più formativa di una gioia finta del passaggio del turno, che Lukaku e compagni hanno cominciato a ridefinire la loro identità, perduta brevemente inseguendo modelli irraggiungibili alla luce dei mezzi a disposizione. Nei primi mesi della stagione, si è parlato a lungo del Liverpool di Klopp come esempio da seguire in rapporto al tempo impiegato per arrivare al successo. Un paragone decaduto dal momento in cui – in un periodo storico d'emergenza per il mondo intero - è venuta a mancare la stabilità societaria di Suning, che sta valutando il possibile disimpegno parziale o totale dal calcio.
Insomma, le stelle polari da seguire sono sempre più rare ai tempi del Covid-19. Ecco perché, al di là dei campanilismi di sorta, stona il discorso fatto da Conte alla viglia della sfida con il suo passato, quello che continua a non piacere al popolo del cielo e della notte: "La Juve è un parametro di riferimento perché in questi anni ha stradominato in Italia e quindi una squadra che vuole capire a che livello è ha come punto di riferimento loro". In queste parole, tra le righe, si può leggere quello che si vuole, a seconda della tesi che si vuole supportare. Si può dibattere a lungo sul significato del termine stradominio della Vecchia Signora, anche perché l'arco temporale è troppo vasto per parlarne in termine qualitativi; dal punto di vista quantitativo, invece, impressiona obiettivamente la serie di nove scudetti di fila vinti in uno sport che cambia molto velocemente. Se gli eventi non si succedessero alla velocità della luce, ora non staremmo commentando un derby d'Italia conclusosi con un no contest. Un match comandato dall'inizio alla fine dalla squadra che dovrebbe imparare come si fa da quella battuta, che ha dalla sua un gap che ormai è diventata parola sempre più vuota. A meno che non si faccia un esercizio di maniavantismo per ripararsi da eventuali insuccessi o si esalti oltremisura l'avversario (l'esordiente Pirlo ha nove punti in meno del tanto criticato Sarri) per decuplicare i propri meriti. Magari, semplicemente, è una strategia, come ha fatto notare Massimo Moratti nel corso dell'intervista a Tuttosport: "Quello di Conte è un discorso generale che si allarga anche alla società dove dall’altra parte c’è la stessa proprietà da cent’anni che, anche per questo, esprime una grande forza. Inoltre ritengo che quella del gap sia un po’ una tattica di Conte per far concentrare i giocatori".
L'ex patron, mentre veniva tirato per la giacca relativamente a un clamoroso ritorno alla guida del club per sostituire Steven Zhang, ha centrato il punto: la Juve non potrà mai essere un riferimento per nessun club italiano, lo dice il suo peso politico inimitabile. C'è solo l'Inter, come domenica sera a San Siro. Della Juve che descrive Conte – anche quando elenca gli acquisti fatti da Andrea Agnelli per metterli in controluce all'austerity di Viale della Liberazione – non c'è stata traccia. Come ammesso candidamente da Giorgio Chiellini, rivelatore di un verità che fin lì nessuno aveva avuto il coraggio di dire: "Diventa difficile commentare questo Inter-Juve, di cosa parli? Quando c'è questo divario diventa difficile analizzare la partita, si fa fatica a parlare di moduli e di singoli. C'è stato un divario troppo netto. Gli anni passano per tutti e i cicli finiscono, noi stiamo provando in tutti i modi a farlo continuare e a vincere il decimo scudetto di fila che sarebbe incredibile".
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Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
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