Ci si può accontentare di due vittorie consecutive per 1-0, entrambe su rigore e sprecando numerose palle gol? Sì, di questi tempi. Perché come un déjà vù l’Inter torna a vivere situazioni del passato che, ahimé, spesso si sono protratte a lungo senza lieto fine. Magari stavolta andrà diversamente, alla fine checché ne dicano i tifosi stra-convinti dell’ennesimo fallimento, questo libro è ancora tutto da scrivere. Non espongo concetti in stile ‘Il meglio deve ancora venire’, ormai svalutati dall’ampio utilizzo, ma non per questo voglio privarmi della speranza di un futuro prossimo migliore. Anche perché, pur zoppicando, questa Inter è riuscita a infilarsi nel traffico da ora di punta del retro bottega, quello alle spalle delle due lepri. E, si sa, nella confusione tutto può succedere.
La tiepida aspettativa è anche figlia della situazione attuale ‘preoccupante’, come Mazzarri l’ha definita. Quando il tuo allenatore, in vista di una partita delicata come quella di sabato (valutarla in base alla classifica sarebbe la madre di tutti gli errori), ammette di trovarsi in difficoltà nella scelta degli undici giocatori da spedire in campo, è un pessimo segno. Nulla di nuovo sotto il sole, al di là della scorsa stagione in casa nerazzurra è ormai prassi affollare le infermerie con conseguenti carenze di organico, ma l’abitudine non aiuta a essere ottimisti. Vado di appello: D’Ambrosio, M’Vila, Osvaldo, Nagatomo, Jonathan, Campagnaro e Guarin. Sette incerottati, chi più chi meno. E con una rosa non certo di prim’ordine, raggruppata in onore del FFP, sono assenze pesanti come un macigno, soprattutto in certi ruoli. Anche perché chi gioca, e lo si è visto mercoledì sera, va in riserva già nel primo tempo. Al 'Tardini' dovrebbe farcela Hernanes, più di una speranza anche per Guarin. Stop. Il resto della formazione è obbligato, con gente stanca o fuori posizione che prova a tirare la carretta in attesa di tempi migliori. Ditemi voi se queste sono le condizioni ideali per pretendere il salto di qualità.
Visto che le fette prosciutto preferisco averle su un piatto che davanti agli occhi, non posso comunque ignorare che al di là della soddisfazione a fine gara dell’allenatore la prestazione contro la Sampdoria non sia stata così convincente nonostante numerose palle-gol (la gente non fischia solo per riscaldare le labbra screpolate dal freddo). Qualche lampo di classe dei pochi dotati e molta pesantezza di manovra, giro palla sterile e poco movimento a centrocampo e in attacco (dove il solo Palacio, benché in debito d’ossigeno, aggrediva gli spazi salvo poi sbagliare sotto porta), non sono elementi positivi nel bilancio complessivo di un match comunque portato a casa con grande forza di volontà e, finalmente, un episodio favorevole al momento giusto. Poco, ma significativo in un momento di difficoltà come quello attuale. Per questo ribadisco che ci si possa accontentare, in attesa di vacche non dico grasse, ma almeno sazie.
E qui mi fermo con l’analisi prettamente calcistica di Inter-Sampdoria, perché in questo momento ci sarebbero altri ragionamenti da fare. Innanzitutto, il solito concetto sui fischi. Premesso che nella Scala del Calcio i loggionisti hanno tutto il diritto di sottolineare una ‘stecca’ del soprano o del tenore di turno, in quanto pubblico pagante e, si spera, competente, c’è sempre quel limite sempre più sottile che distingue la valutazione dell’esibizione dal mero preconcetto. Nel primo caso, il giudizio, anche sonoro, è insindacabile. Nel secondo va stigmatizzato, perché nessun professionista che si espone al pollice del pubblico può farlo serenamente quando sa di essere a esso sgradito, pronto alla lapidazione in pubblica piazza senza un regolare processo. Mercoledì sera all’intervallo sono piovuti tanti fischi sulla prestazione dell’Inter, che pur senza incantare le sue occasioni da gol le aveva create e sprecate, tenendo a bada un’onesta quanto robusta e imbattuta Sampdoria. Non comprendo pertanto questa espressione di disappunto a metà serata e la ritengo frutto della seconda opzione di cui sopra, il preconcetto. L’Inter non gioca bene, è assodato, ma la voglia di riscatto va apprezzata e sostenuta anche se, a un certo punto, non produce necessariamente gli effetti sperati. Auspicare di chiudere sul 3-0 il primo tempo sarebbe stato irrealistico.
C’è pertanto questa contraddizione di fondo nel tifoso interista da stadio (quello da casa meriterebbe uno spazio a parte): in mezzo a chi, comprendendo lo stato attuale della propria squadra, si limita alla sospensione del giudizio almeno fino al 90’, c’è chi non aspetta altro che uno poco gradevole 0-0 all’intervallo per sfogare la propria repressione. Dimenticando che, non essendo di fronte a uno spettacolo da una botta e via ma a una squadra che ha ancora tutta una stagione davanti, così non fa il suo bene. Il diritto di critica è inalienabile, ma solo se costruttiva e basata su aspetti oggettivi e non su una mala predisposizione nei confronti del singolo che poi coinvolge l’intero gruppo. Contraddizione che poi, sempre alla voce fischi, riguarda anche l’altra sponda. Innanzitutto la società, che con un guizzo inatteso alla Marco Sau cambia format della presentazione delle squadre e nega ai mal disposti l’opportunità di fischiare Mazzarri. In secondo luogo lo stesso WM, che continua a ribadire di non sentire i fischi ma all’intervallo reagisce a essi con un gesto di stizza plateale. In entrambi i casi, si è cercato di insabbiare un grattacielo.
Autore: Fabio Costantino / Twitter: @F79rc
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