C'è un'immagine che più di tutte resta in mente del campionato 2005-2006: la linguaccia di Alessandro Del Piero dopo il gol del 2-1 al Meazza. E' il 12 febbraio e tutto è ancora possibile, anche se i punti di distacco tra le contendenti sono 9. Il Derby d'Italia è fermo sull'1-1 per i gol di Ibrahimovic e Samuel. La squadra di Roberto Mancini, dopo aver agguantato il pari, preme; quella di Fabio Capello non molla. Poi il fattaccio: nel finale, Pavel Nedved simula un fallo al limite dell'area (triplo carpiato su pressing normalissimo di Cordoba) e l'arbitro Gianluca Paparesta – sì, proprio lui – ci casca in pieno, accordando una punizione alla Juve. Un piazzato che per uno con il destro di Del Piero è quasi un rigore. Minuto 85: tiro, gol. Julio Cesar freddato, linguaccia. Tre punti in cassaforte e Inter praticamente tagliata fuori dalla corsa al titolo.

NON FERMATELI – A fine gara, Luis Figo svela: “Ho visto Moggi entrare nello spogliatoio di Paparesta, prima della gara”. Le cronache racconteranno infatti che l'ex dg bianconero, assieme a Giraudo e Bettega, aveva forzato il blocco delle 'maschere' dello stadio, intimando con chiarezza: “Non provate a fermarci!”. Così avevano avuto accesso lì dove è vietato a tutti i dirigenti. Peccato che né Paparesta né gli uomini dell'Ufficio Indagini annotIno l'episodio, mentre Figo viene multato.

14° TITOLO – Questo era il clima che si respirava in quegli anni. Ma i protagonisti non potevano sapere che quella sarebbe stata l'ultima stagione dello scandalo. A fine aprile, cominciano a filtrare le prime indiscrezioni dell'apertura di un'inchiesta della Procura di Napoli contro alcuni club, tra cui molti di Serie A. E il 26 luglio 2006, due settimane dopo l'Italia Mondiale di Berlino, la Figc assegna il titolo di Campione d'Italia 2005-06 all'Inter, in conseguenza alle penalizzazioni di Juventus e Milan. E' il 14º titolo della storia nerazzurra, quello del risarcimento morale.

PER IL BENE DELL'INTER – Molti fanno partire da qui il ciclo di successi dell'era di Massimo Moratti, che in realtà aveva già vinto una Coppa Uefa (1997-98), due coppe Italia (2004-05 e 2005-06) e una Supercoppa italiana (2005). Era mancato, però, lo Scudetto, inseguito dall'anno dei Record di Trapattoni 1988-89. Una sorta di maledizione, culminata con la giornata drammatica del 5 maggio 2002. Tante buone Inter, qualcuna ottima. Da Hodgson a Cuper, passando ovviamente per quella di Gigi Simoni e Ronaldo, defraudata del titolo stagione 1997-98. Una lunga serie di frustrazioni, che lasciarono il segno nel presidente nerazzurro, tanto da decidere di mollare la poltrona di numero uno in favore di Giacinto Facchetti. Era il gennaio 2004, i nerazzurri erano in crisi di risultati (l'ultimo ko era stato quello casalingo con l'Empoli). E Moratti fece un passo indietro, spiegando che lo faceva “per il bene dell'Inter”. Parole che oggi ci sono famigliari.

CIAO CIPE – In seguito alla prematura scomparsa del Cipe (4 settembre 2006), Moratti torna presidente nel novembre dello stesso anno, perché “sarebbe stato offensivo dover scegliere un'altra persona per sostituire Facchetti”. L'ex bandiera della Grande Inter se ne va proprio all'alba del ciclo nerazzurro, che culminerà con il Triplete e la conquista del Mondiale per Club. Non erano passati nemmeno due mesi dall'assegnazione dello scudetto a tavolino. Lascia l'Inter in ottima salute, rinfrancata dai risultati e risarcita dalla giustizia sportiva dopo anni terribili, in cui il malaffare aveva contaminato il calcio italiano.

TRICOLORE SIMBOLO – E' per questo motivo che Massimo Moratti non farà e non potrebbe mai fare alcun passo indietro sulla questione. Quello scudetto è 'lo' scudetto. Il 14° titolo è il simbolo, è la sublimazione della differenza tra quello che era e quello che dovrebbe essere. Lo spiegherà presto anche a Erick Thohir. Un riscatto a 360 gradi, in barba a chi continua a far finta di non capire. In quel Tricolore ci sono tutti, da Ronaldo a Djorkaeff, da Materazzi a Sorondo, da Veron a Sforza, da Moriero a Pagliuca. Nessuno escluso. Soprattutto, è lo scudetto di Giacinto Facchetti, tirato dentro dopo la sua morte in discorsi palesemente manipolati. Moratti lo sa bene e se lo tiene stretto. Facendo la linguaccia.

Sezione: In Primo Piano / Data: Ven 18 ottobre 2013 alle 11:01
Autore: Alessandro Cavasinni / Twitter: @Alex_Cavasinni
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