Lukaku ha lasciato l'Inter, e prima di lui Conte e Hakimi. I campioni d'Italia perdono pezzi, ma per dare un giudizio corretto sul mercato bisogna aspettare la sua chiusura. Solo in quella data si potrà iniziare a capire la strategia del club, che oggi per tanti è solo quella di smantellare. In molti ci avevano insultato quando, a poche ore dalla conquista dello scudetto, avevamo messo in guardia sulla severa cura dimagrante stabilita da Suning: cessioni pesanti e taglio dei costi. Uno scenario possibile che, in larga parte, si è concretizzato. Ma quella non fu una previsione, non stavamo leggendo i tarocchi: era semplicemente la fotografia di quel momento, dello stato d'animo che si respirava ad Appiano Gentile dopo il primo discorso post-scudetto di Steven Zhang. Non c'era bisogno di aspettare la partenza dell'allenatore e di un paio di big per dire che avevamo ragione. Avevamo fatto solo il nostro lavoro di cronisti.

L'Inter non naviga in buone acque, questo è assodato. E non ci naviga perché non lo fa la sua proprietà. Suning ha sbagliato investimenti e ora ne paga le conseguenze in patria, con le schegge (di paura) che rimbalzano fino a Milano. Ma non è che le altre stiano tanto meglio. Se non ve ne foste accorti, è tutto il sistema calcio ad avere l'acqua alla gola. E non da quest'anno. Al di fuori dei club inglesi, del Psg e del Bayern Monaco, tutti attraversano una crisi enorme. E l'Inter è, di fatto, al primo anno in cui vende i suoi titolari. Anche negli anni in cui era fuori dalla Champions, infatti, il mercato era sempre stato a salire di qualità, a incrementare la rosa, senza sacrificare nessuno. La famiglia Zhang ha sicuramente mostrato inesperienza nei primi frangenti e commesso più di un errore di valutazione negli anni successivi, ma va detto che ha portato il club fuori dalle secche del settlement agreement, che ha scalato posizioni in Italia e in Europa, che a portato a Milano allenatori e giocatori di primo livello e che ha messo termine al dominio juventino conquistando lo scudetto numero 19. Ampiamente pronosticabile, viste tutte le contingenze, che prima o poi anche l'Inter avesse dovuto cedere qualche pezzo da novanta per restare a galla. Lo hanno fatto prima di essa tutte le altre, e molte senza vincere nulla. Figurarsi con una pandemia in corso che ha fiaccato i conti.

Non vuole essere una difesa d'ufficio di Suning che, ripetiamo, ha eccome responsabilità. Ma ha anche meriti che ora non possiamo cancellare. Bisogna cambiare la concezione che si ha del calcio, purtroppo. Pensiamo ancora che chi vince automaticamente poi continui a migliorare, quando invece non è più così da oltre 10 anni. Comprensibile la delusione dei tifosi per gli addii pesanti che abbiamo già citato, ma a mente fredda si può ben dire che non per forza questo debba coincidere con un ridimensionamento. Grazie alle idee e alla competenza, l'Inter può comunque migliorarsi o, quantomeno, restare nel posto che le compete. Qualora, dopo Calhanoglu preso per rimpiazzare Eriksen e la permanenza di Dimarco, a Milano dovessero davvero arrivare pure Dzeko (affare dato ormai per fatto), un esterno destro serio (Dumfries?) e un altro attaccante di valore (Correa? Zapata? Vlahovic?), allora la rosa a disposizione di Inzaghi sarebbe più che competitiva. Anche perché, rispetto alla passata stagione, il nuovo allenatore potrà contare anche su un Vecino sano, su un Sensi (si spera) finalmente dimenticato dalla sfortuna e, soprattutto, su un gruppo di giocatori cresciuto in esperienza e consapevolezza dopo il tricolore. E allora aspettiamo a elargire giudizi affrettati. E facciamo i conti con tutto il mondo del calcio. Perché l'Inter non gareggia con sé stessa, ma con avversari che decisamente non stanno tanto meglio. Anzi. Quindi calma.
"Credo che un'Inter come quella di Corso, Mazzola e Suarez non ci sarà mai più, ma non è detto che non ce ne saranno altre belle in maniera diversa." (Radiofreccia, 1998)
Sezione: Editoriale / Data: Mar 10 agosto 2021 alle 00:01
Autore: Alessandro Cavasinni
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