Dici Sassuolo e prontamente al tifoso interista passano davanti agli occhi memorie decisamente poco piacevoli. Perché, dopo aver subito sette reti in due dei primi tre incontri coi nerazzurri nella sua prima, lunga parentesi nella massima serie esauritasi con la retrocessione del 2024 e un anno di purgatorio cadetto prima del ritorno tra i grandi, la compagine emiliana si è decisamente divertita a fare gli scherzi più disparati alla Beneamata. Non rari gli sgambetti subiti dai neroverdi, al punto che il bilancio storico dei confronti tra le due squadre è praticamente in equilibrio, con dieci successi per parte a fronte di appena due pareggi. E storicamente è accaduto a prescindere dal fatto che si giocasse a San Siro o al Mapei Stadium, anzi il Sassuolo nelle ultime nove a Milano ne ha vinte addirittura cinque, una volta rischiando di mandare a ramengo la corsa Champions League, un’altra volta scatenando la contestazione della Curva Nord che arrivò ad abbandonare il proprio settore, fino all’ultima che ha un po’ guastato la cavalcata verso la seconda stella. Senza dimenticare quell’assurdo pareggio che di fatto pregiudicò l’inseguimento al tricolore della prima Inter targata Antonio Conte.
Nella tradizione folkloristica soprattutto delle regioni del Meridione d’Italia esiste una figura tipica, che assume vari nomi a seconda della zona nella quale ci si trova, da Mazzemarill a Munaciello fino a Scazzamrridd e Laurieddhu: è quella del folletto dispettoso, che appare di notte per disturbare il sonno di un malcapitato, che adora i bambini ma che se ti prende di mira ti tormenta. Ecco, quest’allegoria è assimilabile a ciò che il Sassuolo ha rappresentato negli anni per l’Inter; ingraziarsi il folletto è sempre stato molto difficile, anzi è stato lui a volte ad incamerare un tesoro vendendo ai nerazzurri alcuni loro giocatori con risultati alterni. Di più: il capitano del Sassuolo, quel Domenico Berardi che negli anni passati ha palesato anche più di una volta il suo tifo per l’Inter, all’Inter ne ha fatte passare negli anni di cotte e di crude. Specie a San Siro, dove ha realizzato sette gol di cui quattro proprio contro i nerazzurri, e ha preso parte attiva a cinque gol (due reti, tre assist) nelle ultime quattro sfide contro l'Inter in campionato, di cui le ultime tre disputate fuori casa. Insomma, più dispettoso di così…
Aggiungiamo la botta di energia data dalla prima vittoria stagionale della squadra di Fabio Grosso contro la Lazio ed ecco servita una nuova partita con le trappole nascoste praticamente ad ogni angolo per la squadra di Cristian Chivu. Soltanto che mai come questa sera, l’imperativo per l’Inter è quello di evitare un altro passo falso in campionato dopo le sconfitte contro Udinese e Juventus. In ballo c’è un record negativo da scongiurare, visto che è dalla seconda annata di Luciano Spalletti che l’Inter, nell’era dei tre punti, non arriva alla fine della quarta giornata con quattro o meno punti in classifica; ma soprattutto, c’è la necessità di non buttare subito alle ortiche l’iniezione di fiducia derivante dalla partita di Champions League. L’Inter è stata l’unica rappresentante italiana ad ottenere una vittoria nel primo atto della campagna europea, guadagnando anche parecchi elogi anche se qualcuno si è premurato di fare la tara alla presunta scarsa qualità dell’avversario affrontato, ottenendo anche dai singoli le risposte che ci si attendevano dopo la serata dell’Allianz Stadium.
Risposte che avrebbe dovuto dare anche Lautaro Martinez, frenato però da un dolore alla schiena che rischia di pregiudicare anche il suo impegno nella gara di questa sera. Lautaro che però è stato al centro di un aneddoto raccontato in conferenza stampa dallo stesso Chivu, emblematico del sentimento che il Toro nutre per questi colori, talmente forte al punto da sacrificare il proprio benessere personale se la squadra avesse avuto bisogno di lui. Non sarebbe stata certo la prima volta, considerato quanto avvenuto ad esempio nella semifinale di ritorno contro il Barcellona dove fu addirittura epico, ma si tratta di quelle piccole sfumature che non fa mai male ribadire quando si vuole evidenziare la qualità morale di un giocatore. Se giocherà questa data non è dato sapere: lui si è divertito a giocare all’enigmista dichiarando che almeno un Martinez sarà in campo, tutti gli indizi portano a Josep, portiere atteso in campo già ad Amsterdam dove invece è rimasto saldo al suo posto Yann Sommer. Ma fino a questo momento si è intuito che con Chivu è piuttosto difficile azzardare pronostici sull’undici titolare.
Non è ancora il tempo, forse, di fare la rivoluzione in casa Inter: Chivu lo fa capire quando parla dei meriti guadagnati la scorsa stagione da questa squadra la scorsa stagione, dimenticati troppo in fretta e troppo bruscamente e quando afferma che l’unica preoccupazione non è curarsi del ‘rumore dei nemici’ di mourinhana memoria ma di pensare a trarre il meglio dai suoi uomini. Lo fa capire anche quando elogia quello che è il suo comparto offensivo sottolineando come Pio Esposito, tanto balzato agli onori delle cronache dopo il debutto gagliardo in Champions League, faccia sostanzialmente quello che fanno Marcus Thuram o Lautaro o Ange-Yoan Bonny; o quando rivolge una carezza a Luis Henrique e Andy Diouf, i due acquisti sin qui rivelatisi i due ‘oggetti misteriosi’ di questo avvio di campionato, spiegando che anche per loro arriverà il momento di far vedere le loro qualità ma per il momento alla squadra serve altro.
Serve, almeno per ora, affidarsi fino in fondo a quelle che sono le certezze accumulate e che non possono essere sparite così all’improvviso; serve magari anche una sferzata d’orgoglio vedendo ad esempio l’Hellas Verona riuscire a fare quello che l’Inter non era stata in grado di fare ovvero difendere un risultato nei minuti finali e capire perché dovrebbe essere da meno rispetto agli scaligeri. Ma c’è anche un’altra cosa che serve, e che, come anche Chivu ha espressamente evidenziato, manca maledettamente: il tifo, nello specifico la Curva, il rumore dello stadio, la bolgia che sa trascinare o intimorire a seconda di come la si veda. E non sono parole pronunciate a caso, specie se si considera che questa sera il numero di spettatori, almeno dando un’occhiata fino a ieri sera alla piantina dei biglietti venduti, rischia di essere abbastanza lontano dai ‘sold out’ ai quali l’Inter ci ha abituati.
Tanti settori, alle 21 di ieri, presentavano ancora ampie disponibilità. Ciò non vuol dire che il Meazza sarà spettrale ma insomma, è una situazione un po’ anomala che può essere dettata da vari fattori: troppe partite serali, avversario con poco appeal, forse un’errata interpretazione del concetto di squadra alla quale non bisogna fare troppe pressioni espresso tempo addietro. Quel che è certo è che il tecnico rumeno ha evidenziato l’assenza dell’ambiente caldo che fino a nemmeno troppo tempo fa era una garanzia. I rappresentanti del direttivo hanno raccolto via social l’appello, spiegando però che tutta questa situazione dipende dalla società e dalla sua gestione della campagna abbonamenti che non poche polemiche ha scatenato.
Un ulteriore macigno, oltretutto, sul presente di uno stadio come quello di San Siro che negli ultimi tempi ne ha davvero vissute di tutti i colori. E sul cui destino si continua a parlare, a favoleggiare, a volte anche speculare: l’iter per la costruzione del nuovo impianto sembra ben instradato anzi c’è il rischio che salti ancora tutto, a Milano si giocherà la finale Champions 2027 anzi no, l’Europeo del 2032 ad oggi sembra migrare verso altri lidi. E il Meazza, fresco di 99esimo genetliaco, resta lì, imponente e pesante, a convivere con il suo status di tempio del calcio che però, non per colpa sua, ormai sta diventando maledetto.
Autore: Christian Liotta / Twitter: @ChriLiotta396A
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