Riconoscersi ancora oppure no. Saper intravedere di nuovo in un'immagine o in un riflesso qualcosa, magari solo un ricordo di ciò che era, di ciò che è stato. In un tempo anomalo e disgraziato, incomprensibile e sfuggente, non è un dettaglio o uno sforzo da poco riuscire a non perdere l'orientamento, la consapevolezza e ancor di più ogni certezza.

L'Inter di Conte le sue certezze sembra averle lasciate nella dolorosa notte d'agosto di Colonia ed è come se da quell'Europa League sfuggita non senza rimpianti si fosse rotto un'incantesimo o si fosse spenta una fiamma che fatica a rianimarsi, a rimanere viva e presente. Il ko di Champions con il Real Madrid lascia i nerazzurri all'ultimo posto nel girone ma soprattutto li lascia pieni di quei punti interrogativi, di quelle fragilità anche e soprattutto mentali che stanno caratterizzando un inizio di stagione timido, quasi depresso, certamente deludente.

La partita è stata un'istantanea fedele del generale avvio di stagione dell'Inter: distratta in difesa, capace di creare ma non di sfruttare alcune occasioni in attacco, capace invece di farsi male con errori individuali clamorosi e poi, infine, volenterosa nel non crollare del tutto. Un'Inter non trascinata ma abbandonata dai giocatori (come Vidal e Hakimi) arrivati per fare la differenza e che loro volta si stanno deprimendo, schiacciando in un grigiore generale che somiglia a quello che certi giorni stringe come in una morsa la sofferente e malata Milano in un anticipo di inverno.

Il Real nel primo tempo ha accennato un pressing tutt'altro che forsennato mostrando anzi una debolezza delle linee che avrebbe aperto, in teoria, ampi spazi. Ma l'Inter nel mezzo è mancata di tono e aggressività (il solo Barella, il migliore, ha giocato e corso per tutti) e gli esterni sono stati come inceppati. La partita, pur nell'ambiente da amichevole o addirittura allenamento dello stadio Alfredo Di Stefano, è stata intensa ma anche piena di errori. Mancava la solennità del Bernabeu, mancava, ai ragazzi di Conte, l'attenzione e la fame che ci si aspetterebbe in una partita già decisiva per proseguire il percorso in Champions. I nerazzurri sono stati distratti e imprecisi nelle uscite e nel fraseggio davanti all'area di rigore così come nelle verticalizzazioni o negli ultimi passaggi che avrebbero dovuto innescare gli attaccanti.

Eppure la squadra di Conte le occasione oltre ad averle concesse le ha create. Ha saputo riprendere una gara che sembrava già decisa nel primo tempo, ha rimontato da 0-2 a 2-2 arrivando anche a sfiorare il vantaggio con Lautaro e Perisic prima di finire presa in contropiede dalla velocità di Vinicius e Rodrygo che hanno portato sì al 3-2, ma per i Blancos. Sliding doors, come spesso accade a una squadra che gioca ma non concretizza. Il calcio, del resto, è una cosa semplice: se non fai gol e concedi spazi e giocate agli avversari, perdi.

Realpolitik si potrebbe dire prendendo in prestito un termine storico della politica tedesca che bada al sodo, non all'ideologia e alla teoria ma alla pratica e alla concretezza delle cose. Il fatto che l'Inter venga ogni volta punita, spesso oltre i propri demeriti, è parte di quell'incantesimo che Conte non riesce a spezzare ma anche la conseguenza di disattenzioni e incongruenze.

Conte sembra essersi a sua volta perso dopo la notte di Colonia e non sembra nemmeno più quel leader indiavolato e inferocito che tutti coinvolge e tutti migliora: sembra, anzi, a sua volta lento, nel capire lo stato di forma della squadra, nel provare a cambiarla, a modellarla nel modo giusto per arrivare, in maniera concreta e pratica, a una vittoria che ora serve come l'aria per svoltare una stagione dannatamente già complicata. Emblematici i minuti finali in cui l'Inter ha cercato l'assalto della disperazione senza riuscire mai a essere pericolosa perché andava solo di passaggi orizzontali, perché mancava la qualità e la personalità della giocata. Avere uno come Eriksen e non riuscire a farlo esprimere è una colpa. Così come non aver trovato la quadratura di una squadra che a ogni gara si scopre sempre più fragile e incerta, vittima di errori individuali che poi deprimono tutti e costano punti.

Quei punti che all'Inter adesso servono, in campionato come in Champions, per raddrizzare la stagione. Non servono invece miracoli o sortilegi: un po' di buona sorte magari sì. E un po' di sana Realpolitik: fame, voglia, concentrazione, rabbia. Da parte di chi sta in panchina e da parte di chi va in campo. Per capire e dimostrare se c'è ancora la possibilità di riconoscersi e di intravedere un'immagine, o un riflesso, di quello che è stato. Per provare a ritrovarlo.

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Sezione: Editoriale / Data: Mer 04 novembre 2020 alle 00:00
Autore: Giulia Bassi / Twitter: @giulay85
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