Diciannove. Come suona bene. Un numero anonimo, che in matematica offre pochi margini di manovra e che nell'ultimo anno e mezzo è stato tragicamente associato al virus che ha cambiato la vita di tutti. Da ieri però è legato a una grande impresa sportiva, che ha cambiato la storia del calcio italiano. L'Inter ha conquistato, a 11 anni di distanza dall'ultimo, il suo diciannovesimo scudetto, interrompendo la dittatura di nove anni della Juventus. E lo ha fatto con l'autorità di chi andava eroicamente incontro a un destino già scritto ma inimmaginabile prima che venisse rivelato. Diciannove, in barba a chi si era convinto di poter tagliare questo traguardo prima solo per aver messo il muso davanti fino al giro di boa. O di chi credeva di poter mantenere la poltrona solo per mera continuità. O in barba alla pletora di lacchè, presunti esperti o sostenitori d'altri colori che si auguravano un fallimento dove ora si stampano bottiglie di spumante e si balla al tempo di cori da stadio con il minimo sindacale di autocontrollo. Mai come oggi, il cielo sopra l'Italia è nerazzurro. Alzare lo sguardo per credere.
Questo è il nostro scudetto, di noi tifosi che da anni ingoiamo veleno e vediamo gli altri crlebrare, che non abbiamo mai mollato di un centimetro convinti che prima o poi sarebbe arrivato il nostro momento. È lo scudetto dei nostri genitori, nonni, zii, amici, alcuni non hanno fatto in tempo a goderselo perché il destino è stato vigliacco (Gigi, Mariolino e Mauro, è anche per voi), altri sono ancora al nostro fianco e possono condividere questa gioia. È lo scudetto dei nostri figli, alcuni dei quali non hanno vissuto l'epopea di Mancini e Mourinho e non sapevano cosa volesse dire provare certe emozioni, piangere di gioia per una squadra di calcio, per dei colori che in fondo accompagnano da sempre le nostre minuscole esistenze. Ce lo siamo guadagnato con la pazienza, la fede incrollabile e l'ostinazione anche di fronte a momenti, periodi, lustri, decenni complicati. Se qualcuno doveva spodestare quelli lì, non poteva che essere l'Inter. Lo dice la storia di questo club, dove vincere ha un sapore speciale, diverso, inspiegabile a parole.
E lo ha scoperto anche Antonio Conte, al quale possono andare solo ringraziamenti. Avrà anche un passato sgradevole, un carattere indomabile, ma sin da quando ha messo piede alla Pinetina ha rispettato sé stesso, un uomo ossessionato dalla vittoria e attratto ferocemente dalle sfide. Sabato ha vinto quella più difficile della sua carriera da allenatore, ha trasformato l'1% di partenza in un inaspettato 100%. Perché oggi è facile estrarre dal cilindro i classici "L'avevo detto", ma in tempi non sospetti in tanti ne avevano chiesto l'allontanamento. Conte ha vinto la sua battaglia personale, è diventato interista ai nostri occhi e non importa se per lui non c'è lo stesso coinvolgimento, nessuno pretende che intoni cori da Curva Nord o salti a richiesta contro questo o quel club rivale. Ha svolto il proprio dovere, è andato anche oltre le aspettative portando una rosa di buon livello a una dimensione superiore, migliorando molti calciatori e convincendoli di poter diventare artisti e creare un capolavoro, senza esserci mai riusciti prima. Con tutte le difficoltà in cui ha operato, tra casi di positività improvvisi, mercato nullo, proprietà a lungo assente e situazione economica problematica, con la macchia di un ultimo posto nel girone di Champions League, l'allenatore leccese ha sfoderato tutta la sua personalità di uomo del sud abituato a conquistare i propri successi con le unghie e con i denti, imprimendo la propria mentalità nella testa dei suoi ragazzi, diventando allo stesso tempo allenatore, padre, amico, leader carismatico, psicologo, parafulmine e quant'altro.
Gente come Handanovic, D'Ambrosio, Ranocchia, Perisic, Brozovic ne ha viste di ogni in questi anni, ha toccato spesso il fondo con la speranza di potersi riscattare prima o poi. Finalmente è arrivato anche il loro momento, la pazienza è stata ripagata. Bravi tutti, anche chi ha giocato meno ma nello spogliatoio ha fatto la differenza. Bravi Lautaro, Barella, Bastoni, Skriniar, Hakimi: il futuro è nelle loro mani. E che dire di Eriksen, il danese triste, con le valigie in mano a gennaio che ha segnato il gol che ha scatenato la gioia prima della matematica, a Crotone. Poi c'è lui, Big Rom, un uomo in missione. Spalle larghe, larghissime per superare momentacci come l'autogol di Colonia o quell'inopinato salvataggio contro lo Shakhtar, per poi aggrapparsi a tutta la sua forza mentale e trascinare i compagni verso questo storico traguardo. Gli hanno detto che era grasso, che non segnava contro le grandi, che mancava di tecnica, che non valeva la cifra spesa. Ma per noi interisti è sempre stato un punto di riferimento, un totem, un fratello maggiore che ti difende dai bulletti ed è sempre pronto a darti una mano o una lezione di vita. Ce l'hai fatta Romelu, missione compiuta. E ora, testa alla prossima.
Ringraziamento speciale per la nostra dirigenza, per Beppe Marotta che si è confermato il migliore nel suo ruolo, profondo conoscitore di calcio sia a livello istituzionale sia di campo. Ha affrontato sfide complicate, ha dovuto gestire un contesto di recessione economica con una proprietà lontana, ha preso decisioni anche impopolari rivelatesi vincenti. Ha reso l'Inter una società moderna, rispettata. Un enorme e commosso grazie anche al più interista tra le mura della Pinetina: Lele Oriali. Figura storica, uno dei massimi rappresentanti del nerazzurro, professionista esemplare che nell'ombra ha contribuito a questo scudetto facendo valere esperienza, capacità e attaccamento ai valori della maglia. Nessuno meglio di lui poteva spiegare a questi ragazzi l'onore e l'onere di indossare i colori nerazzurri, il senso di responsabilità nei confronti di un popolo che da anni attendeva la terra promessa. E probabilmente lo stesso Conte, che con il Piper ha vissuto l'Inter in modo simbiotico, ha da lui attinto energie extra per superare le difficoltà e guidare in porto la nave.
Una nave costruita da una proprietà, Suning, che ha affrontato negli ultimi mesi problematiche enormi e ha ricevuto improperi e accuse da ogni dove, con l'enorme neo di una profonda mancanza di trasparenza che ha fatto presagire il peggio. Non è chiaro come evolverà la situazione, ma è palese il contributo della famiglia Zhang a questa rinascita nerazzurra. Perché gran parte degli eroi di questa meravigliosa pagina di sport è stata proprio Suning a ingaggiarla, in linea con il progetto iniziale. E solo per questo merita riconoscenza. Certo, la proprietà ha commesso errori e ne commetterà altri ammanettata dal contesto socio-culturale in cui opera e dal faticoso rientro dalle perdite finanziarie. Ma nessuno può negare il coinvolgimento nella causa nerazzurra, con Steven particolarmente legato a tutto l'ambiente. Se oggi festeggiamo, è anche merito di chi ha avviato il progetto. E quello "Schiacceremo tutti" riecheggia come una profezia di quanto accaduto in questo 2021. È successo davvero.
Vincere così è Not For Everyone.
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Autore: Fabio Costantino / Twitter: @F79rc
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