Luciano Spalletti, tecnico perfetto per il biennio da piazzamento, in questi giorni è diventato improvvisamente inadeguato al ruolo per la stagione che verrà, quella in cui l'Inter intraprenderà un viaggio verso l'ignoto a livello di obiettivi. Dopo aver portato la nave in porto al quarto posto con una rosa ridotta all'osso l'anno scorso, Lucio sta attraccando verso il lido del terzo posto sicuro in mezzo alla tempestosa bagarre Champions, competizione a cui i nerazzurri – salvo sorprese – parteciperanno per il secondo anno di fila. Con il solito status – almeno per il ranking Uefa – di nobile decaduta, risultato di anni sciagurati con nocchieri improvvisati, alla guida di ciurme raffazzonate. Questa condizione sociale ha avuto un peso specifico non indifferente nei sorteggi prima e nell'eliminazione dal girone della morte poi. Un fardello che il tecnico di Certaldo ha dovuto portare in spalla semplicemente per averlo ereditato da un passato che non ha scritto. Da quando ha preso in mano la penna dei colori del cielo e della notte, al contrario dei suoi predecessori, Spalletti ha saputo disegnare sul pentagramma le note dell'inno più famoso del mondo dello sport. Restituendo al popolo della Beneamata emozioni forti che non provava da sei anni, compresa l'enorme delusione per un'uscita di scena inaspettata solo per l'epilogo. Ad agosto, critici e tifosi davano per spacciata l'Inter, definendola al massimo mina vagante in un raggruppamento con due favorite evidenti, peraltro attualmente qualificate ai quarti. E' andato tutto come da pronostico, la storia dice questo, ma in mezzo il racconto viene narrato a piacimento a seconda delle fazioni di appartenenza. C'è chi parla di suicidio sportivo col Psv, per un 1-1 certamente sotto le aspettative. Sì, ma quali aspettative? Quelle costruite nelle precedenti quattro giornate, autoalimentate dai meriti della squadra e di Spalletti. La cui unica pecca, semmai, è stata interpretare la gara di Wembley come una una sfida di transizione verso la finale anziché un duello da dentro o fuori. Osando poco, sul palcoscenico dell'Europa che conta, in cambio si ottiene ancora meno, una lezione che si apprende solo con l'esperienza. Un passaggio naturale per una rosa composta perlopiù da esordienti in simili manifestazioni: non è un caso che Mauro Icardi e Samir Handanovic, l'ex capitano e quello attuale, fossero ancora a zero presenze in questa competizione prima di Tottenham-Inter.

Tutto questo per dire che ogni risultato va sempre contestualizzato e calato nel momento storico in cui vede la luce, esattamente come l'inevitabile addio all'Europa League per mano di un Eintracht Francoforte spietato nel mandare al tappeto una formazione ridotta ai minimi termini da squalifiche, un esilio autoimposto e tagli ordinati dall'alto. E anche qui, come sopra, la colpa ha le sembianze nette di un passato buio che ritorna di tremenda attualità più che di un presente gestito male. Senza dimenticare le difficoltà nate dal settlement agreement Uefa e da una disabitudine a gare di livello, va precisato che Spalletti ha commesso i suoi errori, di natura tattica (Lautaro lanciato troppo tardi, per dirne uno) ma anche gestionali: assieme al club, che lo ha appoggiato in questa battaglia, non ha saputo controllare gli effetti di una decisione senza precedenti presa relativamente alla fascia di Maurito. Perdendo di conseguenza un patrimonio tecnico per una credibilità a tempo che è durata giusto una giornata di punizione (l'esclusione con la Lazio). Scelta coerente con l'amministrazione del gruppo - non a caso anche Nainggolan fu costretto a uno stop di un turno per i ripetuti ritardi all'allenamento – ma probabilmente inadeguata se rapportata alla persona che l'ha incassata. Il limbo nel quale Icardi ha deciso di sostare per più di 40 giorni è la conseguenza diretta di una condanna – a suo giudizio – sproporzionata. Questo è il punto che Spalletti non ha voluto capire, per una questione di principio e di orgoglio professionale. Avendo dalla sua tutte le ragioni del mondo, l'ex Roma ha deciso di infliggere un danno non da poco a quel gruppo che ha sempre detto di voler tutelare in ragione di un valore sacro come l'autorevolezza del ruolo di guida di uomini.

Ecco, è da questo punto che bisogna ripartire, che poi è la base fondante di ogni progetto con un senso: Spalletti gode della fiducia della squadra? I risultati in campo sembrerebbero dare ragione al toscano, sul quale qualche riflessione la società la sta facendo. Da migliore degli allenatori possibili, Spalletti sta diventando - per l'ambiente - quello limitato per certi traguardi, per una grandeur che ad oggi può essere solo sognata. Il tempo scorre al doppio della velocità per chi siede sulla panchina dell'Inter, va a rilento per una rosa poco sopra la media che attualmente può puntare solo al podio. Per far procedere la macchina nerazzurra nel Tempo occorre lo spazio necessario, cosa che Spalletti ha già capito da un pezzo: "Io non ce la faccio a essere Mourinho in due campionati: ho bisogno di più tempo per fare qualcosa", aveva detto in una conferenza di pochi mesi fa.

Quel bisogno di cui parla Spalletti si traduce nel credito di tutte le componenti che per ora nessun candidato alla sua successione possiede: lo stesso Mou, che infiamma la maggioranza dell'ambiente oltre a Suning per il suo passato dorato ad Appiano, sarebbe un acceleratore di eventi troppo pericoloso. Dall'altra parte, l'altro aspirante Antonio Conte gode della stima infinita di Marotta, ma partirebbe molto indietro nella classifica del gradimento dei tifosi. Cambiare per rischiare ha una sua logica nella misura in cui l'approdo sia una vittoria di qualche trofeo o la preparazione della stessa. Vale la pena, nel primo anno fuori dal Settlement agreement, investire tanti soldi per cambiare il manico, magari per rinviare gli investimenti essenziali da fare per migliorare la rosa? Alla proprietà cinese spetta dare la risposta delle risposte, magari confermando la volontà già espressa otto mesi nel giorno del rinnovo fino al 2021 di Spalletti. Quando quest'ultimo dichiarò che era stato "rafforzato il patto dei desideri comuni del mondo interista".

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Sezione: Editoriale / Data: Gio 11 aprile 2019 alle 00:00
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
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