Sono bastate cinque vittorie consecutive dell’Inter targata Cristian Chivu per innescare il processo di demonizzazione di Simone Inzaghi. Con in mano un campione irrisorio di partite, il cui grado di difficoltà è ben noto, qualcuno si è sentito in dovere di fare paragoni improbabili a livello statistico con l’intento di far passare subdolamente il messaggio che il 'nuovo è meglio del vecchio'. Un esercizio semplicistico che, semmai, potrà diventare verità al termine del processo di ricostruzione che il tecnico romeno ha fatto partire non appena ha messo piede nello spogliatoio nerazzurro, depresso sportivamente per l'epilogo della scorsa stagione. Con un obiettivo: dare stimoli diversi a un gruppo ormai abituato a una certa routine. La routine del porto sicuro del gioco bello ed efficace (nella maggior parte dei casi) diventato nel tempo l’antidoto a un mercato che in otto sessioni non ha mai aggiunto giocatori con caratteristiche diverse a quelle già presenti in rosa, proprio come accaduto la scorsa estate, quando, però, è cambiato il manico. Mica poco, visto che alcune consuetudini sono state messe in discussione: i giocatori parlano di un’intensità maggiore durante gli allenamenti alla Pinetina, mentre in campo si notano alcuni principi di gioco differenti rispetto al precedente ciclo, vedi la ricerca più insistita della verticalità e una riaggressione più feroce con difesa alta in caso di perdita del possesso palla.
Parlando dell’approccio di Chivu che, così come il predecessore sta applicando la stessa logica per le rotazioni a eccezione dell’alternanza dei portieri, nella scorsa settimana abbiamo visto e sentito dei comportamenti all’opposto di due titolarissimi: se Federico Dimarco non ha nascosto la sua soddisfazione per aver già giocato tre partite intere su otto (situazione inusuale con Inzaghi), Denzel Dumfries si è mostrato arrabbiato per il cambio prematuro al 54’ di Inter-Cremonese, gara già in ghiaccio per effetto di un 2-0 rassicurante. Niente di nuovo, le solite dinamiche di campo e di spogliatoio che ogni allenatore deve essere in grado di tenere sotto controllo. In tal senso, Chivu, da grande comunicatore, ha spento subito il 'caso' giornalistico dando alla reazione dell’olandese una connotazione positiva. "Fa bene a essere incazzato, deve esserlo. E' giusto che si incazzi con me, col mondo e con chi gli pare", le parole dell’ex Parma. Che, anche grazie a questo tipo di comportamento, ha potuto rimarcare la sua 'tecnica' in fatto di scelte di formazione: "Non ho niente da nascondere. I giocatori devono sentirsi responsabili, io non ho regole per comunicare la formazione. Mischio sempre le cose in allenamento per farli sentire importanti. Magari qualcuno era incazzato pensando di non giocare, io lo voglio così. Nessuno deve sentirsi a suo agio, a volte la formazione la dico il giorno prima, a volte la mattina. Finora l'ho detta tre ore prima della partita", aveva svelato venerdì scorso rispondendo al solito giochino giornalistico sulla formazione titolare. Tutto il contrario del turnover scientifico di Inzaghi che, per la sua natura matematica a livello di minutaggio, non lasciava grande spazio a letture originali a partita in corso. Un limite, dirà qualcuno, potendo portare diversi esempi di rimonte subite e punti buttati; un vantaggio, sosterrà qualcun altro, mettendo sul piatto uno scudetto, coppe nazionali assortite e due finali di Champions. E’ il paradosso più grande del ciclo inzaghiano, perfettamente condensata dalla dichiarazione del predetto Dumfries a De Volkskrant: "Sei sempre preso da mille cose, al punto che a volte ti dimentichi di guardarti intorno. Ogni tanto però lo fai. Dopo la finale di Champions League, per esempio. Fa schifo perderla, ma il modo in cui l’abbiamo persa è stato ancora più di merda. Diciamo terribile dai. Quindi sì, il modo in cui l’Inter ha perso col Psg è stato terribile, ma due finali di Champions League in tre anni… Ogni tanto provo a fare un passo indietro e penso: 'Denzel, puoi esserne davvero fiero'". .
Ecco, evitando le solite guerre intestine fra chi sta dalla parte dell’ex tecnico e chi con quello attuale, il tifoso dovrebbe fare un passo indietro come Denzel e domandarsi una cosa: in che termini si parlava di Inzaghi dopo le prime otto panchine? Non tanto per fare dei paralleli che sarebbero inutili con il suo successore, quanto per vedere come cambiano i giudizi in base alla prospettiva e al momento in cui vengono emessi.
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
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