Uscire dalla Champions League dopo aver avuto due match-ball per proseguire l'avventura, fa male e deve far riflettere. Si poteva chiudere il discorso a Londra pareggiando con il Tottenham, si poteva esultare lo stesso battendo in casa il già eliminato Psv Eindhoven,visto che il Barcellona delle seconde linee non si era fatto superare, come temuto alla vigilia, dagli inglesi. E invece la sconfitta a Wembley e l'insipido pareggio rimediato martedì scorso, fanno scivolare l'Inter nel meno entusiasmante scenario dell'Europa League.
Chi vuole a tutti i costi trovare un briciolo di sollievo, ricorda come il girone fosse proibitivo per la Beneamata, tornata nella massima competizione continentale dopo ben sei anni, che il terzo posto finale fosse la logica conseguenza per un club che ha gettato le basi da poco per tornare a certi livelli e che a questo punto sia meglio tentare di arrivare in fondo all'Europa League, piuttosto che farsi eliminare agli ottavi di Champions da una delle corazzate europee che hanno terminato i loro gironi al primo posto. Chiacchiere, perché nel calcio gli scenari spesso mutano rispetto alle previsioni iniziali e l'Inter, dopo aver conquistato sei punti nelle prime due gare, aveva l'obbligo di cogliere l'attimo regalando una gioia immensa all'impareggiabile popolo nerazzurro che la Champions del tifo l'ha già vinta da tempo. Non battere il Psv, nonostante le gravi assenze a centrocampo, prima fra tutte quella ormai abituale di Radja Nainggolan, ha messo a fuoco i limiti che questa squadra ancora ha, sia come cifra tecnica che di mentalità.
E sul banco degli imputati per il mancato risultato, sale giustamente anche il manico, perché Luciano Spalletti ha le sue responsabilità, da lui stesso ammesse a fine gara, per non aver presentato in campo una squadra in grado di governare l'evento e non subirlo.
L'unico a ribellarsi al “vorrei, ma non posso”, è stato il Capitano. Sì, il Capitano con la maiuscola. Anche se per qualcuno aveva avuto il grave torto di festeggiare il compleanno della moglie dopo la sconfitta con la Juventus e di essere andato a Madrid a vedere River-Boca due giorni prima della sfida decisiva con il Psv. Peccato che poi in campo, Mauro Icardi sembrava una furia scatenata a caccia di quella gloria di squadra e personale propria dei top player. Contro il Psv, il solito gol da mal di testa, il quarto sui sei realizzati dall'Inter in Champions League, oltre ad un incessante lavoro per la squadra come ripetutamente richiestogli da chi non si accontenta dei soli gol. Icardi si gode la vita, gli piace esternare sui social, non inganna gli ingenui millantando ritiri monastici prima delle partite. Ma in allenamento non sgarra mai, in partita onora sempre e comunque la maglia nerazzurra. Attenzione a non scherzare troppo con il fuoco con questo giocatore che ora tutta l'Europa calcistica conosce. L'Inter deve blindare al più presto l'unico in rosa in grado di spostare realmente gli equilibri e non può essere un traguardo particolarmente difficile visto l'attaccamento del Capitano ai colori nerazzurri. Ma Icardi vuole vincere, oltre a guadagnare il più possibile. Lo vorrebbe fare con l'Inter e siamo sicuri che la proprietà si muova la prossima estate, se non già da gennaio, con l'obiettivo di allestire una squadra sempre più competitiva.
Tornando all'attualità, sarà dunque Europa League, partendo dai sedicesimi di finale. Si giocherà il giovedì, i palcoscenici avranno meno fascino, la musichetta non sarà quella che nel finale invoglia tutto lo stadio a gridare: “The Chaampiooons”. Ma si tratta comunque dell'ex Coppa Uefa, vincerla sarà comunque molto difficile, guai però a snobbarla. Arrivare in fondo significherebbe molto, conquistare il trofeo accorcerebbe il processo di crescita, si giocherebbe la prossima estate per la Supercoppa Europea, oltre a qualificarsi direttamente in Champions League. Mancherà però un possibile derby meneghino, magari in finale nella lontana Baku. Tutto per colpa di un flauto, un flauto magico.
Tornando seri, l'Europa League non regala motivazioni immediate, ma la grande squadra con la giusta mentalità le trova scendendo in campo. L'esempio più recente, in tal senso, lo ha dato la scorsa stagione l'Atletico Madrid del Cholo Simeone. Arrivato terzo in modo inatteso nel girone di Champions League comprendente Chelsea e Roma, l'Atletico non ha battuto ciglio ed è andato a vincere l'Europa League. Staremo a vedere cosa succederà da febbraio in poi, anche se, ribadisco, l'uscita in quel modo dalla Champions brucia terribilmente.
Due giorni dopo l'eliminazione, l'Inter ha ufficializzato la nomina di Giuseppe Marotta come amministratore delegato del settore sport. A Milano arriva un dirigente vincente, molti tifosi nerazzurri non gioiscono perché Marotta ha lavorato per anni alla Juventus, contribuendo in maniera importante alla conquista dei sette scudetti consecutivi da parte della nemica per antonomasia. Ma il calcio è cambiato, non prenderne atto significa solo ragionare per slogan. Beppe Marotta da giovedì è un dipendente dell'Inter e lavorerà per far vincere l'Inter. Contro la Juventus, contro il Milan, contro tutte altre squadre della serie A. Il suo arrivo sulla sponda nerazzurra del naviglio conferma come la società voglia pensare in grande per il proseguio della stagione e soprattutto per il futuro. Marotta sarà fondamentale per dettare codici di comportamento che riescano ad alzare l'asticella all'insegna dello spirito di appartenenza da parte di giocatori che dovranno considerare l'Inter come uno splendido punto di arrivo e un privilegio professionale.
Sarà interessante scoprire come il neo dirigente nerazzurro si confronterà con Luciano Spalletti, con cui ha già lavorato nella stagione 1999-2000 al Venezia dell'allora presidente Zamparini. Per Spalletti fu doppio esonero, ma erano altri tempi, i due sono cresciuti e maturati, seppur con alterne fortune professionali. Qualcuno sostiene che Marotta, in agenda, abbia altri nomi per la futura panchina dell'Inter. I prescelti sarebbero Antonio Conte o il Cholo Simeone, che i sondaggi indicano come il preferito dalla piazza nerazzurra. Ma intanto il nuovo amministratore delegato interista ha detto che Spalletti è un grande allenatore, che deve rimanere sereno e che avrà il massimo supporto dalla socierà. Parole che solo in parte sembrano aver fatto piacere all'attuale tecnico nerazzurro, che, in conferenza, ha spiegato come spesso dietro alle promesse di supporto ci sia in realtà il timore che da solo uno non ce la possa fare.
E invece Spalletti ieri ha ribadito che lui la materia la conosce bene dopo anni di attività, rivendicando il lavoro svolto in questo anno e mezzo sulla panchina dell'Inter. Del resto, il tecnico di Certaldo ha ragione quando ricorda come si sia ridotto il gap in termine di punti con Juventus, Napoli e Roma, con i giallorossi ora addirittura sotto in classifica. Spalletti ha ragione quando dice che con lui al timone, l'Inter sia tornata subito in Champions League. Ma Spalletti sa anche che all'Inter non c'è mai tempo per dirsi bravo, bisogna sempre dimostrare di poter fare di più. All'Inter si vuole tornare a vincere.
Marotta vuole continuare a farlo, ma questa volta con i colori giusti. Intanto oggi farà il suo esordio al Meazza, perché, fortunatamente, l'Inter torna in campo dopo le lacrime di martedì scorso. L'anticipo di campionato propone l'Udinese. Proprio un anno fa, sempre a San Siro, i friulani imposero all'Inter, allora capolista, il primo stop, una beffarda sconfitta per 3-1. Da quel giorno per la Benamata iniziò una fastidiosa discesa. Oggi non ci sono scuse dopo una solo vittoria nelle ultime sette gare. Tre punti obbligatori per continuare la marcia con la mentalità della squadra che sa imparare dagli errori e resettare. Tanto l'affetto del Meazza non mancherà nemmeno questa volta. Perché l'Inter, è una bellissima malattia.
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