"Quando si arriva ai 70 bisogna fare i conti di chi sei, cosa hai fatto. Io sono nato interista, al mio Paese ero tra i pochi. In quell'epoca forse era per la Grande Inter che mi ha fatto appassionare e innamorare. Penso di aver fatto anche qualcosa di bello, perché ho sempre dato tutto perché rappresentavo tutti gli interisti". Sono le parole di Alessandro "Spillo" Altobelli nella lunga intervista rilasciata a Inter Tv in occasione del suo settantesimo compleanno, che cade proprio oggi.
Gli inizi.
"A Sonnino avevo fatto tanti gol, poi venivano tutti a vedermi a Latina. Poi non so come mi sono ritrovato a Brescia. Dovevo andare a Cesena dove mi voleva Bersellini, ho fatto una partita al giovedì e poi mi sono ritrovato a Brescia, ma è stata la mia fortuna perché sono rimasto lì tre anni e ho trovato degli allenatori che mi hanno fatto esordire, poi messo titolare. Anche quando ormai ero seguito dalle grandi squadre mi hanno sempre protetto e mi hanno fatto stare coi piedi per terra. Nel calcio arrivare a fare qualcosa è facile, il difficile è rimanere".
La chiamata dall'Inter.
"Non posso dimenticare quando mi hanno chiamato dall'Inter. Mi è arrivata la telefonata, ero in sede all'Inter col presidente del Brescia. C'erano Mazzola e Beltrami che mi aspettavano, in un attimo abbiamo fatto il mercato e ho capito la differenza tra le società perché quando uno mette piede nella sede dell'Inter capisce che è un'altra categoria. Quella mattina non posso dimenticarla perché poi sono andato nella sala trofei e il mio pensiero era quello di dire: speriamo di metterci qualcosa di mio perché l'Inter è la mia famiglia, è il mio tutto. Io sono nato interista e poi l'Inter mi ha dato la possibilità di diventare qualcuno, di andare in nazionale, diventare campione del mondo. Sarò sempre riconoscente".
L'arrivo in nerazzurro.
"Allora per me il problema era il salto di categoria, l'Inter ha una storia incredibile. Io arrivavo da Sonnino dove non c'era nemmeno il campo da calcio, poi sono andato a Brescia, sempre cercando di migliorarmi, di fare qualcosa in più di quel che sapevo fare. La famiglia mi ha assecondato e io sentivo di dover lasciare un segno, non solo di partecipare".
L'accoppiata con Beccalossi.
"Io sono arrivato un anno prima di Beccalossi all'Inter. Una volta la domenica sera facevano vedere un tempo del campionato di B. Una sera eravamo in ritiro perché avevamo le coppe e giocavano Ascoli-Brescia. Parlai con Oriali, Bini, Marini per fargli vedere Beccalossi. Li portai ad Appiano dove c'era la tv. A un certo punto Becca batte il corner e diede un calcio alla bandierina. Quante me ne hanno dette... Però vedendolo giocare si capiva. Avevo parlato con Beltrami e Mazzola per chiedere di seguirlo perché era un grande giocatore. Non so se in quegli anni c'è stato uno con quella qualità. Le persone venivano a vedere lui, era un fantasista che ti faceva innamorare per come giocava. Era diverso. Tutti quei giocatori sono così, in campo fanno cose che gli altri non fanno. Vedono le cose diverse da noi. Non ci parlavamo nemmeno in campo, sapevamo già come giocava l'altro. Quando prendeva palla sapevo cosa avrebbe fatto. Muraro diceva che il Becca non gliela dava mai perché anticipava i tempi. Io mi muovevo dopo che già aveva fatto i suoi dribbling e lo assecondavo. Io servivo a lui e lui serviva a me".
Il gol più bello e il più importante.
"Il gol più bello l'ho fatto col Nantes, mi hanno messo in mezzo un pallone e l'ho accompagnato in rovesciata. Un gol non facile che ho fatto diventare facile. Il più importante direi tutti quelli che ci hanno fatto vincere il campionato o quello della finale di Coppa Italia contro il Napoli. Segnai anche nella finale che vincemmo qualche anno dopo. Segnare non è facile neanche adesso, ma allora era più difficile. C'era solo una telecamera che riprendeva la partita e andava dove c'era il pallone. Allora alcuni difensori, magari non erano cattivi ma se dovevano fermarti lo facevano in qualsiasi modo, ma a me non impaurivano. I due difensori più forti di quell'epoca? Vierchowood non dormivo quando dovevo affrontarlo ma credo nemmeno lui. E poi Gentile, credo sia stato uno dei più forti d'Italia e non solo. Ha marcato Maradona e Zico. Io ho una costola rotta dopo aver giocato contro di lui Inter-Fiorentina per una sua entrata".
Bersellini.
"Bersellini è stato il mio maestro, la persona che mi ha fatto diventare un calciatore. Arrivavo dalla B, fisicamente non ero pronto, ma lui mi allenava bene. Mi parlava. Mi faceva capire l'importanza degli allenamenti. Aveva ragione. Ho sempre usato i suoi metodi anche quando lui non c'era più. Era un grande. Andavamo in ritiro venerdì sera e ci faceva mangiare un minestrone e un pezzo di carne ma noi avevamo fame. Ci ha insegnato a fare i sacrifici perché per il calcio bisogna farne, anche nel mangiare. Noi aspettavamo che andasse a dormire. Io avevo la prima camera sopra, bisognava fare piano perché sentiva tutto. Quando arrivava l'ora tarda aspettavamo ma la porta faceva rumore, ci dovevamo mettere l'olio. Andavamo in cucina e mangiavamo quel che trovavamo, ci serviva anche a fare gruppo".
La nazionale.
"Il gol in finale mondiale lo hanno visto miliardi di persone ed è stato anche un bel gol. Bearzot? Un maestro. Vincere un Mondiale non è facile. Ci ha fatto fare un lavoro pesante e le prime partite ne avevamo risentito, facevamo fatica a correre e abbiamo fatto tre pareggi. Ma quando abbiamo smaltito quel lavoro, dalla quarta in poi nessuno ci poteva più reggere. Abbiamo battuto Argentina, Brasile e Germania. Ecco perché dico che era un grande allenatore. La maggior parte del merito è suo".
L'amicizia coi vecchi compagni all'Inter.
"Ancora oggi ci sentiamo in un gruppo whatsapp e ci scriviamo per vederci a cena. La cosa più bella è sempre legata ai ricordi che avevamo, ognuno racconta qualcosa. Eravamo una buona squadra, siamo stati gli ultimi a vincere un campionato con soli italiani. La società aveva fatto un buon lavoro e anche noi perché andavamo tutti d'amore e d'accordo. Avevamo un grande rapporto con Renata e Ivanoe Fraizzoli, che erano innamorati dell'Inter. Ringrazio i tifosi che mi hanno sempre supportato anche nei momenti difficili. I tifosi sapevano che in campo c'era uno di loro. Quando scendevo in campo sentivo di dover rappresentare tutti. Per me l'Inter veniva sempre prima di ogni cosa".
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