Arcigno difensore, rapidissimo nonostante una stazza imponente. Intimorente ma buono nell’animo. Nelson Rivas, in esclusiva per FcInterNews.it, ripercorre le tappe della sua avventura nerazzurra.

Di che cosa si occupa ora nella vita?
“Faccio il papà. Ho lasciato il calcio giocato 4 anni fa e adesso mi godo la mia famiglia. Sono tranquillo e vivo serenamente”.

Quali sono i suoi ricordi legato all’Inter?
“Ce ne sono di positivi ma anche di negativi. Alti e bassi, come per qualsiasi giocatore. Quando arrivai a Milano nessuno mi conosceva. Disputai un’ottima annata con Mancini. Peccato poi che una serie di infortuni condizionò i mesi successivi”.

Mancini o Mourinho?
“Entrambi. Due ottimi allenatori con qualità differenti. Con Roberto sentii la fiducia e giocai molto. Il secondo anno invece con Josè non ebbi molte chance a causa di alcune lesioni”.

Però venne scelte dal manager lusitano per marcare Cristiano Ronaldo in Champions…
“Sì, chiaro che ricordo quell’episodio e la partita. A livello personale commisi qualche errore e venni sostituito a fine primo tempo”.

Chi erano i migliori giocatori di quelle Inter?
“Difficile scegliere. Tutti erano davvero dei fuoriclasse, un gruppo eccellente con medesime qualità e eccellenti persone”.

Con Benitez invece non giocò praticamente mai, nonostante avesse fatto bene al Livorno, in prestito…
“Fu un momento difficile per me. Il livello era comunque altissimo e sempre a causa degli infortuni subiti non riuscii a scendere in campo con continuità”.

L’Inter poi poteva contare su una batteria di difensori incredibile…
“Assolutamente. Samuel, Materazzi, Chivu, Lucio, Burdisso. Poi se devo spendere un nome lo faccio per il mio connazionale Cordoba. Per capacità, leadership, carattere. Un esempio. Una persona da ammirare anche per come è fuori dal campo. Un punto di riferimento per me e per molti altri”.

Segue l’Inter in tv?
“Sì, quando posso. Noto come sia cambiata tutta la struttura, sia quella societaria che quella in campo. Adesso si punta maggiormente sui giovani. E mi sembra si stia facendo un buon lavoro”.

Le piacciono gli attuali difensori dei nerazzurri?
“Sì, anche qui le cose si sono modificate. Ai miei tempi, con tanti campioni non c’era margine di errore. Dovevi arrivare al limite e dare il massimo. Oggi si punta su giovani molto bravi. Ma le faccio un esempio. Si ricorda che Mourinho diceva a Lucio di non salire in attacco? Ecco, lo stesso valeva anche per me. Adesso sono cambiati i parametri e forse c’è più libertà”.

Le piaceva il soprannome di Tyson?
“Spieghiamo bene la questione. Mi iniziarono a chiamare così nel River Plate perché per tradizione e storia non c’erano stati molti giocatori di colore nella rosa dei Millonarios. Nulla a che vedere col tema del razzismo, sia chiaro. E allora per le mie caratteristiche di gioco iniziarono ad appellarmi in quel modo, per la forza e la potenza con cui scendevo in campo”.

Ha mai avuto la sensazione che gli attaccanti vedendo la sua struttura fisica, avessero timore di essere marcati da lei?
“In Argentina magari è successo. Ma attenzione: io non ho mai causato un infortunio a dei colleghi. Sarebbe stato da persone non corrette. E io non lo sono”.

Mi sembra di capire che lei sia il classico buono nel corpo di una persona che in teoria avrebbe potuto fare molti danni…
“È vero. Non è la prima persona che me lo si dice. Per il mio aspetto fisico e la massa muscolare a un primo impatto potevo sembrare rude, anche in campo. Ma ripeto: nella mia carriera non sono mai intervenuto per danneggiare altri giocatori. Nel gioco capita poi di agitarsi, ma io non sono mai stato antisportivo. Non esiste. Il calcio è una passione. I giocatori sono uomini con famiglie, con dei figli. Dobbiamo essere degli esempi, per tutti”.

Come Figo lo fu con lei, dato che fu lui a darle in benvenuto all’Inter…
“Corretto. Luis fu la prima persona che mi ricevette. Un campione. In campo e di umiltà. Mi diede il benarrivato a Milano, specificando come fosse felice del mio arrivo. E che sarei entrato a far parte della famiglia nerazzurra. Ero un fratello in più. Ricordo molto bene quel giorno. E ancora oggi quando ci penso capisco perché sia riuscito a vincere così tanto in carriera. Un fuoriclasse e un uomo speciale fuori dal verde”.

Diciamo che anche da questi particolari si capisce come un’Inter così unita avrebbe vinto la Champions. Un peccato essersene andato proprio in quei mesi…
“Chiaro. Io subii un nuovo e più lungo infortunio. Ecco perché dovetti andare via, per ritrovare fiducia e minuti. E intanto i nerazzurri centrarono il proprio obiettivo”.

Chiudiamo con i ringraziamenti, se vuole farne…
“Certo, ai Moratti, una famiglia incredibile. Con un cuore enorme. E a Ivan Ramiro Corboba. Un atleta dal carisma incredibile. Per me un caro tutor e una persona da seguire”.

Sezione: Esclusive / Data: Lun 24 dicembre 2018 alle 17:52
Autore: Simone Togna / Twitter: @SimoneTogna
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