Metti 344 minuti in tre nelle 12 giornate fin qui disputate, aggiungi il pari col Torino (peraltro al termine di una prova tutto sommato convincente) e, a coronamento, non dimenticarti della sosta delle nazionali, proverbiale periodo da pagina bianca nonostante il momento in qualche modo fatale che stanno per vivere gli azzurri di Ventura e lo Stivale intero. Dalbert, Cancelo e Karamoh hanno fatto in tempo, in questi giorni, a guadagnarsi l’etichetta di oggetti misteriosi, esclusi dalla logica di una formazione che appare in qualche modo intoccabile, proprio perché la continuità, l’amalgama e il crescente funzionamento dei meccanismi le stanno garantendo una velocità di crociera inattesa e di alto profilo. Gli stessi tifosi, con comprensibile e condivisa curiosità, smaniano per apprezzare con pienezza le qualità di giocatori sulla carta importanti e, soprattutto, potenzialmente effervescenti. Il terzino ex Nizza, che spicca tra i tre per i 20 milioni + 6 di bonus pagati per portarlo ad Appiano, si è configurato infatti come un investimento interessante, tanto più vista la sua struttura fisica di primo livello e la palma di migliore terzino della scorsa Ligue 1 con cui è giunto a Milano. Di Cancelo e delle sue elegantissime sterzate offensive, neanche a parlarne, tanto che il suo profilo era a lungo stato oggetto dei desideri del Barcellona, convinto di poter fare della sua classe un prodotto assai simile a quello sfoggiato dal Dani Alves dei tempi d’oro. Karamoh, infine, e quegli strabilianti minuti finali col Genoa che hanno stregato San Siro, rivelandosi decisivi per la vittoria finale e strepitosi per l’attesa nei confronti dell’aletta francese, con un pubblico che va giustamente in brodo di giuggiole quando al consueto copione tattico di corsa e disciplina si aggiungono estro, doppi passi e guizzi imprevedibili. La situazione dei tre è senz’altro differente; per meglio dire, in realtà, i problemi fisici che hanno frenato l’ambientamento di Cancelo e la carta di identità del ’98 Karamoh fanno da marcato tratto distintivo rispetto alle attese giustamente risposte in un contributo immediato da parte di Dalbert. Anche in questa sede, pertanto, le tre questioni meritano un trattamento assai diversificato.
Cancelo e Karamoh, oltre alla prolungata permanenza in panchina, condividono un problema. Il settore di destra del 4-2-3-1 nerazzurro, soprattutto da qualche gara a questa parte, è divenuto infatti la primaria fonte di gioco della manovra interista. Questo dato, in particolare, si è fatto straordinariamente evidente nella sfida col Torino, dove la disparità tra le due parti, in termini di efficienza e lucidità, è stata davvero lampante. L’asse D’Ambrosio-Candreva, al giorno d’oggi, è tra i più collaudati e rigorosi in circolazione, col terzino che spesso resta basso a fare da centrale aggiunto e l’ex Lazio che sgroppa a tutta fascia, portandosi dietro un po’ di avversari e mettendo in mezzo palloni sempre più convincenti: togliere uno dei due, in questo momento, significherebbe farsi un po’ del male, e Spalletti non ha certo il piglio del masochista. Di contro, abbiamo un giovincello promettente, che ha tuttavia alle spalle una stagione intera da titolare in Ligue 1, e un terzino che al momento non è un terzino, e nel capitolo Dalbert si parlerà alquanto della centrifuga tattica cui il tecnico di Certaldo sottopone i suoi laterali difensivi prima che possano esibirsi al meglio in campo. Cancelo, siamo sicuri, avrà diverse occasioni per sciorinare le sue qualità, da esterno alto e, ad apprendistato finito, nel ruolo che tanto desidera, quello di terzino votato ad offendere, magari senza dimenticarsi che, lì dietro, il Bonaventura di turno va seguito sin sulla linea di fondo. In ogni caso, sulla sua testa gravano un’opzione di riscatto da 35 milioni e i delicati equilibri dello scambio con Kondogbia, con l’Inter che presumibilmente non vorrà riportare a casa il lungagnone francese e il Valencia che premerà alquanto sui nerazzurri perché anch’essi perfezionino l’acquisto di Cancelo. È presumibile, quindi, che l’Inter tenterà in ogni modo di far integrare al meglio il portoghese, cosicché l’enorme cifra del riscatto possa sembrare infine tutto sommato equa, soprattutto se arrivassero come speriamo i sonori milioni della Champions. Quanto a Karamoh, l’unica parola giusta è pazienza. Le grandi squadre e i grandi tecnici certe gemme le lavorano a lungo, le sgrezzano e le puliscono dal terriccio della miniera dove le hanno pescate; a un certo punto, il diamante brillerà di luce propria, e allora diventa impossibile a tutti non costatarne lo sbrilluccicante valore. Basti pensare ad Allegri, prima ancora a Ferguson, coi novelli Red Devils che dovevano scalare la montagna solo perché avanti a loro avevano giocatori più avanti nelle gerarchie, spesso anche indipendentemente dal valore delle due alternative in ballo. Soprattutto, basti pensare a Spalletti, e alla sua professione di insegnante di calcio. E qui, più che mai, entra in gioco Dalbert.
“È brasiliano, non sa difendere; viene dalla Francia, non sa difendere”. A furia di ripetercelo, e a furia di ripeterglielo, Dalbert si è infine presentato in campo con un tangibile stato di paranoia. Tutt’altro che brasiliano nel piglio, nelle gare che ha disputato l’ex Nizza non si è mai staccato troppo dalla propria linea di fondo, quasi come chi esce a prendere la posta senza chiudere la porta di casa, e così evita di allontanarsene troppo. Metafore e facezie a parte, Dalbert è sembrato autore e vittima di un atteggiamento iper-compensativo, col desiderio di rispondere bene alle esigenze difensive della squadra che ha prevalso sul suo spirito garibaldino. Da ala aggiunta che era, il verdeoro ha finito per guardarsi bene dalla sovrapposizione, nonostante i ripetuti incoraggiamenti di Perisic. Ciò che più allarma e sfugge al normale percorso di apprendimento che potremmo accordargli sono semmai le ripetute incertezze in fase di gestione del pallone e di posizionamento: un paio con la Spal, qualcuna sparsa nelle altre gare, ed ecco che Dalbert si è mostrato come un terzino difensivo che, però, non dà sicurezze alla difesa. Al suo posto, bentornato Nagatomo, disciplinato e concentrato come sempre ma tranquillo come non mai, tanto da meritarsi l’inedita standing ovation di Inter-Sampdoria.
Di fronte alla prima gara meno brillante del giapponese, però, la bolla Dalbert è un po’ scoppiata, e in molti si chiedono perché il brasiliano sembri ai margini dell’undici titolare. Risposta difficile, dal momento che società e staff tecnico giurano sulle sue qualità e l’investimento sul suo cartellino è arrivato al termine di un’attesa ostinata e messianica; in ogni caso, un tentativo si può fare. Le cronache di Trigoria, infatti, raccontano di un Emerson Palmieri spesso imbambolato anche in allenamento, durante la prima stagione romana (2015/16) e, in parte, anche l’anno scorso. Spalletti, dal canto suo, tiene il brasiliano in congelatore, e ne fa un titolare inamovibile soltanto quando il ragazzo era ormai diventato ciò che il certaldino voleva farne. Era un Roma-Palermo, era la nona giornata della scorsa stagione ed Emerson era ormai a Trigoria da un anno e qualche settimana, senza contare la precedente esperienza proprio con i rosanero. Le similitudini sono tante e vanno ben oltre il becero accostamento della nazionalità: entrambi sono sottoposti al chirurgico trattamento di Spalletti, cui intanto si è aggiunto il ministro della difesa Martusciello; entrambi, inoltre, sono strenuamente difesi dal tecnico, in attesa che il campo ripaghi gli sforzi di ambo le parti. Dalla parte di Dalbert, semmai, c’è appunto la pluriennale esperienza europea, ed è dunque immaginabile che presto, con facilità, il brasiliano prenda il suo posto sulla sinistra senza troppo rumore. Intanto, però, si è giustamente tratto il meglio da Nagatomo, e il giapponese ha meritato questo spazio. Perché l’impressione, neanche troppo velata, è che l’Inter di Spalletti sia coesa, granitica e ben guidata; soprattutto, però, è meritocratica, e questo aspetto, com’è noto, è il fondamento di ogni gruppo che voglia stare bene insieme.
Autore: Antonello Mastronardi / Twitter: @f_antomas
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