Nelle ultime ore, tanti frequentatori dei social network si saranno imbattuti in alcune immagini generate dall’intelligenza artificiale raffiguranti Francesco Pio Esposito con il Pallone d’Oro tra le mani. Uno dei danni collaterali di una certa stampa che non impara mai a maneggiare con cura la narrazione attorno a un giovane talento. Dopo appena due partite di fila giocate da titolare con la maglia dell’Inter, molti giornalisti hanno perso il senso della misura nel raccontare questo ragazzo del 2005 che sta calcando per la prima volta certi palcoscenici, in punta di piedi, con l’umiltà che appartiene solo ai grandi lavoratori.
Il percorso dell’ultimo dei fratelli Esposito parte da lontano, da 'Cicerone', rione di Castellammare di Stabia, sua città natale, passa attraverso le giovanili nerazzurre, prima di arrivare nel calcio dei grandi. Il salto nel calcio professionistico dalla Primavera, di cui è diventato capitano per scelta di quel Cristian Chivu che ora lo può allenare in prima squadra, non è stato triplo ma adatto alla sua crescita graduale: il club milanese, infatti, decide di mandarlo in prestito annuale allo Spezia, una mossa così azzeccata da convincere Piero Ausilio e Dario Baccin a rinnovare l’esperimento per una seconda stagione, quella dell’esplosione dell’attaccante. Se nel 2023-24 i gol fatti si fermano a tre (uno pesante che vale la salvezza contro il Venezia), l’anno scorso Pio ha portato i suoi numeri a cifre sorprendenti toccando quota 19 marcature in 40 presenze. Numeri che gli sono valsi la conferma nella squadra dei suoi sogni che solo un anno prima sembrava irraggiungibile: "Restare all'Inter? La vedo difficile, è già un onore essere di proprietà del club nerazzurro", disse il 14 maggio 2024 a Cronache di Spogliatoio. Nessuna falsa modestia, solo il ragionamento di un calciatore che sapeva di dover ancora dimostrare molto per guadagnarsi il posto in una rosa di altissimo livello.
L’adattamento alla Serie B non è stato semplice, anche per via di una trasformazione fisica che ha accentuato alcune sue caratteristiche che ora vengono esaltate: nella categoria cadetta, Pio si è fatto le ossa, come si usava dire una volta, e in più ha costruito anche i muscoli per resistere ai colpi della vita calcistica. Battuti molti record di precocità nel Settore Giovanile, Pio non ha mai corso il rischio di bruciarsi come molte promesse prima di lui perché ha avuto la pazienza di aspettare il suo momento. Che, anche per una serie di congiunzioni astrali, è arrivato la scorsa estate: la vetrina del Mondiale per Club che lo ha certamente aiutato a mettere in mostra le sue qualità. In America è arrivato il suo primo, e finora unico, gol con la prima squadra: movimento fuori linea, stop e tocco per dribblare il difensore prima di spiazzare il portiere con un rigore in movimento. Un biglietto niente male da esibire per certificare la sua permanenza. E’ vero che l’Inter era alla ricerca di un quarto attaccante per completare la rosa (Bonny era in arrivo), così come non saranno mancate le referenze di Chivu, ma alla fine Pio si trova dove è oggi per merito suo. Nessuno gli ha regalato nulla, nemmeno l’allenatore che lo conosce da quando aveva 13 anni: "Il mio pensiero l'ho espresso sempre, poi stava a lui di meritare di stare nell'Inter. Il Mondiale per Club lo ha aiutato, il suo posto se lo è meritato senza che io incidessi; lo ha fatto vedere a tutti, anche ai ragazzi che gli vogliono bene”, ha detto Chivu prima di Inter-Sassuolo.
La partita in cui Pio ha sostituito per la seconda volta consecutiva Lautaro Martinez nella squadra titolare, rendendosi utile alla squadra, pur senza trovare la stoccata decisiva. Senza segnare sono volati i voti alti in pagella sui quotidiani, tanto da portare qualcuno ad affermare: e quando segnerà una doppietta? O magari farà centro in Champions? Il problema sono i giudizi su Pio, non le sue prestazioni: molto buona con l’Ajax, più che sufficiente con il Sassuolo. Partita nella quale, nel silenzio teatrale di San Siro, ha fatto arrivare a vette importanti l’applausometro dopo un quasi gol in rovesciata. L’ovazione l’ha ricevuta uscendo dal campo contemporaneamente ad Andrea Pinamonti, l’ex enfant prodige della Primavera nerazzurra, in quella che è sembrata una sliding door. Lanciato da Stefano Pioli l'8 dicembre 2016, l’Arciere di Cles ha collezionato appena tre presenze dal via in tutta la sua esperienza con la Beneamata: un’inutile gara di Europa League contro lo Sparta Praga, la famigerata sfida di Coppa Italia col Pordenone e, infine, la passerella scudetto di Inter-Udinese con lo stadio vuoto per via del Covid. Non era destino, probabilmente, perché lontano da Milano, nei vari prestiti della sua carriera, Pinamonti è arrivato a segnare 51 gol in 216 presenze in Serie A. Una media positiva che gli ha garantito la miseria di un minuto giocato con la Nazionale italiana maggiore, in una sfida amichevole con l’Albania. Pio Esposito lo ha già superato anche qui grazie alla convocazione per due gare ufficiali. "Ha qualità indiscutibili e le vediamo, non gli ho regalato niente", ha detto il ct azzurro Gennaro Gattuso. Come a dire che la fortuna è il momento in cui il talento incontra l’occasione. Pio la sta cogliendo, ma va lasciato crescere in pace. Non ha bisogno di essere esaltato semplicemente perché ha 20 anni e gioca nell’Inter. Va giudicato con equilibrio per quello che fa, esattamente come accade per tutti gli altri giocatori. Se è diventato un personaggio divisivo, non è colpa sua.
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
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