Dal derby d'andata, quando il Milan è apparso Cenerentola vittoriosa sulla matrigna, la squadra di Stefano Pioli non si è mai fermata, senza mollare mai la presa né i gradini alti della classifica, arrivando al derby di ritorno da regina più che da Cenerentola, con un’immagine che tutto sembra fuorché un’outsider: da silenziosa e fuori pronostico a candidata per un titolo che sembrava non appartenergli più. Al contrario dell'Inter, appesantita da aspettative e pronostici, costruita per vincere partite che non riusciva a sbloccare e punti che ha faticato ad accumulare, a cominciare da un derby (quello dell’andata) perso tra il clamore generale di scommettitori ed esperti del settore. La rosa degli inesperti che intrappola l’adulta costruita per vincere.
Il tempo guarisce le ferite, persino le più profonde e all’apparenza inguaribili. E dall’uscita da Champions ed Europa l’Inter ha imparato a fasciarsi e guarirsi. Ad onta di chi, anche malamente ne aveva già scritto i necrologi. Ad una fine 2020 farcito da elogi al Milan e critiche all’Inter è arrivato un 2021 quasi antitetico. Meritevole il plauso a Conte e famiglia (i suoi ragazzi), che dopo un inizio stagionale turbolento, incoerente e scosceso, è stata protagonista di una crescita sancita dalla vittoria con la Juventus, quasi eclissata dall'eliminazione di qualche settimana dopo per mano degli stessi bianconeri arrivata dopo 180 minuti di tanta Inter malgrado gli errori che hanno consegnato la finale ai bianconeri, e culminata con il successo contro la Lazio di Inzaghi di settimana scorsa. Proprio contro i laziali l'Inter ha guadagnato la vetta della classifica, sorpassando i cugini scivolati invece sul campo dello Spezia.
Una partenza un po' ingolfata e qualche pit stop di troppo durante la corsa che ora vede la squadra di Conte in testa da un giro dopo un rodaggio un po' accidentato. E da quel derby d’andata, con tanto di stracittadina in mezzo (vinta dai nerazzurri) in Coppa, ecco un nuovo derby: il più significativo di tutti, e non solo della stagione. Da un lato l’Inter di Conte, costruita per vincere (lo scudetto), dall’altro il Milan di Pioli, costruito dalle tante macerie degli anni addietro come primo mattoncino dal quale riedificare ma che ha messo su le fondamenta più velocemente del previsto. Fino a ritrovarsi questo pomeriggio l’una contro l’altra: l’outsider, ormai non più, contro la più gettonata delle venti in gara. Con un paradosso in mezzo non poco indifferente: una con qualcosa da perdere, l’altra con tutto di guadagnato.
Al di là della conservatrice facciata tanto sbandierata nelle conferenze pre gara secondo la quale, per uno quanto per l’altro allenatore, “mancano ancora sedici giornate” e che vede la gara come importante ma non fondamentale, da perdere ha più l’Inter che il Milan. Perché senza nascondersi dietro un dito è proprio l’Inter, costruita per vincere, che avrebbe da ammettere, in caso di ko, una sudditanza ad una compagine fatta di voglia, entusiasmo e tanto animo. E persino nella più diplomatica e costruita delle dichiarazioni c’è un non so che di poco credibile. Vera per quanto possa essere la dichiarazione di Conte secondo la quale “mancano ancora sedici giornate alla fine” e tutto è ancora da scrivere, altrettanto vero è che mai come quest'anno Milan e Inter tornano a dire la sua nel grande calcio fatto da fibrillazioni da primo posto.
Questo pomeriggio al Meazza infatti tornano ad affrontarsi le due Milano, la rossonera e la nerazzurra, che già a modo loro se le suonano da una settimana e oltre a suon di striscioni, murales, cori e sfottò pure e soprattutto sui social, uniche piazze nelle quali è al momento consentito riversarsi. Per la seconda volta, anzi per la terza (Coppa compresa), San Siro non si colorerà né caricherà di colori e suoni che solo i tifosi regalano, come ammesso da Marotta stesso nella giornata di ieri che in occasione della scomparsa di Bellugi ha ricordato quanto svuotata della propria anima sia una gara del genere in assenza di pubblico. Niente coreografie e niente sfottò, niente cori e niente inni ufficiali cantati a squarcia gola sotto le luci di un San Siro che a distanza di un anno pare non accendersi più davvero. Ma in quel calcio mutato, in cui la sopravvivenza passa anche dall'abituarsi e adeguarsi, e in cui i milanesi (d'adozione e non, interisti o milanisti che siano) sono costretti a patire la lontananza dalle proprie squadre come punizione di un reato mai commesso proprio nell'anno in cui si torna ad essere sul tetto d'Italia, o quasi, Milan e Inter tornano a giocarsi qualcosa. E quel qualcosa, se non in classifica, di sicuro nell’orgoglio, vorrà dire.
Quest'anno, oggi più di tutte. Il derby non è una come le altre come i vecchi protagonisti, tutti d'accordo all’unisono, ammettono. E malgrado il derby più vuoto degli ultimi dieci anni, senz’anima e senza colore (quantomeno sugli spalti), giù le maschere e le mascherine (chirurgica o FFP2 che sia), questo derby torna ad essere derby, quello che potrebbe regalare, ad una o all’altra, il significato più importante degli ultimi dieci anni: una strada verso lo scudetto. E allora, come disse un vecchio milanese, fermiamoci "su due piedi, dimenticando tutti i guai, a contemplare anche da lontano quell’ottava meraviglia di cui aveva tanto sentito parlare fin da bambino" perché il derby di Milano è tornato e questa volta è come quando eravamo bambini.
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Autore: Egle Patanè / Twitter: @eglevicious23
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