La riprende Spalletti. Nel senso che, grazie alla vittoria in campo europeo ottenuta martedì dalla sua Inter, è riuscito ad appropriarsi nuovamente di una stagione che sembrava essergli scivolata dalle mani già alle prime luci di settembre. In virtù del 2-1 rifilato a Tottenham, Lucio ha gettato le basi per dare un nuovo significato a un'annata che nel giro di 360 minuti aveva emesso una sentenza più dura del previsto: -8 dalla capolista e patente di anti-Juve stracciata dopo aver corso solamente quattro dei trentotto giri del Gran Premio della Serie A.
La rimonta completata contro gli Spurs è epica nella sua narrazione anche perché contiene tre citazioni che rimandano alla notte magica dell'Olimpico, la genesi senza la quale San Siro non avrebbe potuto mettersi l'abito di gala nerazzurro per la settima stagione di fila. C'è il richiamo del gol di Icardi, quello che suona la carica quando tutto sembra ormai perduto. A Roma Maurito fu freddo dagli undici metri nell'insaccare un pallone pesantissimo, al Meazza ha utilizzato tutta la leggiadria che gli appartiene per risollevare con una volée incantevole il morale a terra dei suoi compagni. Il gran finale, quattro mesi dopo quello storico 20 maggio, è sempre targato Matias Vecino, l'uomo che ha sempre l'ultima parola: l'uruguaiano, con il solito inserimento a fari spenti in area di rigore, è lesto a spingere di testa il pallone che vale oro quanto luccicano gli occhi dei tifosi alla Scala del Calcio e nel mondo di fronte all'ennesimo manifesto programmatico dell'interismo. Il trait d'union tra Icardi e Vecino è Stefan de Vrij: a suo tempo, l'olandese era stato involontario protagonista nelle vesti di laziale, martedì la sponda per la rete del sorpasso è calcolata almeno quanto la bravura di Ausilio di andarlo ad acquistare a parametro zero.
Tante storie dentro un'unica storia, la più importante dopo un avvio di stagione che un senso non ce l'ha: la squadra si è riavvicinata al popolo perché in mezzo a tanta nobiltà continentale ha saputo vincere alla vecchia maniera, riportando in auge la versione 'senza Europa' più identitaria della passata stagione. Un segnale, diverse istruzioni per l'uso da maneggiare con cautela quando c'è di mezzo una partita di calcio della Beneamata: in particolare, martedì scorso le contraddizioni si sono elevate all'ennesima potenza dal minuto 86 fino al triplice fischio, consegnando nelle mani degli spettatori un epilogo in cui l'euforia ha superato di gran lunga l'interpretazione di un film mai così indecifrabile. E' la Champions, bellezza, e i brividi che trasmette sono il miglior nutrimento per Icardi e compagni. Probabilmente, nel momento in cui la tensione ha raggiunto certe latitudini, il gruppo ha ritrovato se stesso pensando al faticoso cammino compiuto per tornare a riveder le stelle. Una sconfitta, è indubbio, avrebbe compromesso seriamente la qualificazione, oltre a complicare maledettamente i piani anche in campionato: e invece, come nella migliore delle tradizioni interiste, si ribaltano i pronostici: è la gara di Champions che potrebbe far scoccare la scintilla, determinare la svolta tra i confini nazionali.
Dal 20 maggio al 18 settembre il cerchio forse si è chiuso: 121 giorni fa il quarto posto portò la Champions, ora la Champions potrebbe ridare slancio alla corsa alla top 4 tricolore, obiettivo minimo e massimo allo stesso tempo. Perché la gita al 'luna park del football' non è una semplice distrazione per spezzare la monotonia di una sola partita a settimana, ma il viaggio nella Disneyland d'Europa che regala consapevolezza e autostima differenti.
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
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